Luca Ajroldi: “Il Premio Alpi è vivo, vitale e importante”

Dallo scorso anno, Luca Ajroldi ha seguito Italo Moretti alla presidenza della giuria del Premio Alpi. Il suo arrivo – dopo tanti anni come giurato “storico” – è coinciso con una serie di novità riguardanti l’assegnazione del riconoscimento. Ajroldi, già inviato Rai e direttore di TMC, oggi dirige il sito di notizie IlJournal. Dopo una diciannovesima edizione di grande successo, ci anticipa cosa aspettarci da questo ventesimo Premio Alpi.

Dopo i vari rinnovamenti della scorsa edizione, ci racconti quali sono le novità riguardanti il premio in questo ventennale?

Alcune modifiche al regolamento sono state introdotte a partire da quest’anno e sono molto importanti, non solo perché in qualche modo “semplificano” il premio Ilaria Alpi, ma perché danno ancora maggior peso e valore. Quest’anno, a mio parere, la novità principale è anche quella di aver diviso il Premio in due categorie: video dalla durata maggiore di 15 minuti e inferiore a 15. Se dividiamo per durata abbiamo due vincitori in diverse categorie, entrambi importanti, con un’assegnazione del Premio più precisa e specifica. È una scelta fatta non solo da me, ma insieme alla conduzione del Premio e ai membri della giuria cosiddetta “storica”. A proposito della giuria, con la modifica dell’anno scorso è stata in buona parte rinnovata, con l’inclusione ogni anno dei vincitori dell’anno precedente. Questo ha portato a un ricambio generazionale e un punto di vista anche diverso nelle valutazioni. Un premio vivo, vitale e importante come questo cresce e si modifica come un qualsiasi organismo vivente. Potranno certamente esserci altre novità o modifiche in futuro, ma già quest’anno possiamo ritenerci soddisfatti.

Un’altra piccola grande novità di quest’anno è l’accorpamento in una sezione unica di servizi per web tv e per la tv “classica”. Una domanda forse provocatoria: ormai le produzioni per il web possono concorrere con le produzioni tv senza complessi di inferiorità?

Potrà sembrare una domanda provocatoria, perché in effetti su quel fronte ancora non ci siamo: oggi la produzione per il web è ancora figlia diretta della produzione per la tv. Se ci domandiamo se un’inchiesta per il web e una per un tg hanno pari dignità la risposta è sì: sono fondamentalmente fatte alla stessa maniera. In Italia, però, non abbiamo ancora lavori che nascono come pensati per essere prodotti per internet. Solitamente si tratta di produzioni che nascono per essere inchieste televisive e vengono realizzate come tali, che vengono dirottati su internet spesso solo perché i costi sono – ovviamente – più bassi. Non sono ancora inchieste nate, pensate e scritte per il web, che va visto non più solo un media ma come un modo di esprimersi, in cui però noi italiani non abbiamo competenza. Possiamo dire che la provocazione è nel fatto di aver messo alla pari il web con gli altri media per stimolare il web a produrre… per il web. Del resto, si tende a sopravvalutare l’utilizzo che si fa di internet in Italia. Secondo i dati reali (non pompati!) ci aggiudichiamo la maglia nera su qualunque fronte. Per essere un vero utente internet aggiornato e acculturato che non crede nelle scie chimiche o altre castronerie serve una formazione, una preparazione. E poi c’è una questione di numeri, che sconfessa anche iniziative come certi sondaggi via internet: gli utenti di internet sono 16 milioni su 60, e la stragrande maggioranza si connette per utilizzare la posta elettronica e visitare una manciata di siti.

Questo ventesimo anniversario dalla scomparsa di Ilaria Alpi ha permesso al suo ricordo di tornare a farsi strada nelle scalette dei media. In che modo il Premio può portare avanti il suo ricordo (oltre all’istanza di promuovere il giornalismo di qualità e determinati temi)?

Il lascito di Ilaria e Miran Hrovatin è il lascito di due persone che hanno fatto giornalismo con la schiena dritta e grandissima passione. Il Premio è da una parte la testimonianza che quello è un modo se non IL modo di fare giornalismo, dall’altra  è il memento costante e continuo che noi sappiamo perfettamente come sono adnate le cose, ma serve sollecitare una verità giudiziaria. È una spina nel fianco, uno stimolo costante, l’invito ai colleghi a continuare a scavare, fare giornalismo, fare inchieste. 

Hai definito la 19° edizione straordinaria, come partecipazione e qualità. Cosa ti aspetti da questo ventesimo premio?

La 19° edizione è stata un’esplosione di partecipazione e crescita qualitativa. Mi riferisco non tanto ai singoli lavori ma quanto nel fatto che i prodotti proposti dalle tv locali e regionali avevano assunto una tale capacità, professionalità e competenza da essere assolutamente capaci di competere alla pari o quasi con i network nazionali. Quest’anno la sfida è mantenere quello standard, far sì che il Premio rappresenti un punto di confronto per il giornalismo televisivo italiano in modo da continuare a crescere a livelli qualitativi molto alti, stimolando anche un po’ i direttori o le testate e in qualche modo anche lo stesso pubblico. Non bisogna dimenticare, infatti, che spesso ci troviamo davanti a un circolo vizioso – che conosco bene avendo diretto un telegiornale – che parte da un assunto: se a una rete si chiedono le inchieste la risposta è che al pubblico non interessano. Noi continuiamo a batterci perché ci sia un giornalismo di inchiesta di qualità, interessante, serio, solido e ben fatto. Piano piano si riuscirà a fare in modo che anche le inchieste diventino giornalismo da prima serata. 

In questo senso, volevo un tuo parere proprio sulla trasmissione dedicata da Raitre a Ilaria e Miran in occasione del ventennale, che ha riscosso un buon successo di pubblico e grandi apprezzamenti dalla critica e dai colleghi.

Quella è la dimostrazione lampante che quando si impiegano professionisti per  costruire uno “spettacolo dell’informazione”, con basi solide nel giornalismo di inchiesta, può venir fuori un prodotto di estremo interesse. Una trasmissione “attraente” che non ha niente da invidiare a mediocri prodotti di fiction comprati in giro per il mondo. Siamo in grado di farlo, dunque, ma serve ricordarlo e insistere.