Comincia con una storia il monologo di Giulio Cavalli, che ieri a Riccione per il Premio Ilaria Alpi ha aperto il dibattito sulla diffusione delle mafie nel nord Italia. La storia è quella di Bruno Caccia, il procuratore di Torino assassinato nell’83 per ordine del boss ‘ndranghetista Domenico Belfiore.
Sul palco di Riccione, oltre all’attore milanese che vive da anni sotto scorta, i giornalisti Gianluigi Nuzzi e Mario Portanova, il gip di Palermo Piergiorgio Morosini e il redattore di Narcomafie Marco Nebbiolo. Ad Antonella Mascali del Fatto quotidiano il compito di coordinare l’incontro. Che si è aperto con le parole di Morosini e la storia di un imprenditore riccionese: prima la crisi di liquidità, poi le banche che si rifiutano di aiutarlo e infine i casalesi, la spirale di minacce, le violenze.
Gli imprenditori che pagano il pizzo sono tanti proprio a Riccione, Cattolica e Rimini. Ed è tanta anche la paura di denunciare. Mentre al sud molte associazioni si occupano di tutelare le vittime del racket e aiutarle ad uscire dalle maglie degli strozzini, al nord gli imprenditori sono lasciati soli e non denunciano, non parlano.
“Paradossalmente – sottolinea Portanova – i lombardi hanno preso in giro l’omertà siciliana e calabrese, mentre oggi ritroviamo la stessa omertà al nord”. Per il giornalista dell’Espresso, “la politica, dopo aver ammesso a denti stretti che la mafia al nord esiste, ha lasciato tutto nelle mani dei magistrati. La mafia, quindi, relegata solo al palazzo di giustizia, è di fatto tenuta fuori dai riflettori della politica e pertanto fuori dai riflettori dell’informazione”.
Gianluigi Nuzzi di Libero sottolinea che la repressione delle attività mafiose solo sul piano militare non risolve affatto il problema. “L’ala militare è un segmento che si autoriproduce, bisognerebbe agire sul piano economico e introdurre il reato di auto riciclaggio e impedire che si restituiscano i patrimoni confiscati”.
La testimonianza di quello che accade in Piemonte la dà Marco Nebiolo di Narcomafie, che a Torino vive e lavora: “Una decina di anni fa sembrava strano parlare della mafia al nord. Adesso è comunque difficile, però, quando ci sono operazioni di polizia come quella chiamata Minotauro, il muro del silenzio si rompe. Ma solo per qualche giorno. Non è con questi 150 nomi – conclude Nebiolo – che la questione ‘ndrangheta verrà svelata nella mia regione”.
di Teresa Manuzzi