Nelson Bova lavora per la Rai dal 1988, inizia come cineoperatore per poi diventare giornalista professionista. Fin dall’inizio si è occupato di temi riguardanti il sociale: diritti umani, disabili, poveri e discriminati sono sempre stati il soggetto principale delle sue inchieste.
Con quale lavoro ha vinto il Premio Alpi 2002?
Con un servizio in cui ho raccontato la storia di una persona totalmente immobilizzata a eccezione del piede destro. La sua vita è stata veramente difficile, è stato emarginato anche dai genitori. Ma tutto è cambiato quando, a quarant’anni, ha ottenuto una tecnologia che tutt’ora gli permette di comunicare, grazie a un computer, con l’unica parte funzionante del suo corpo.
Ricevere questo premio ha cambiato la sua vita professionale?
È stato uno degli accaduti che mi ha permesso di fare un salto nella mia carriera. Ai tempi avevo lanciato da poco una rubrica chiamata Abilhandicap che, grazie al riconoscimento, è riuscita ad avere molta più visibilità sia all’interno della Rai che tra i telespettatori. Il premio mi ha permesso di diventare un giornalista a tutto tondo.
Che valore ha questo premio nella realtà giornalistica italiana?
Credo che negli anni la sua importanza si sia trasformata. All’inizio tendeva a premiare dei servizi che avevano una rilevanza solo locale, poi col tempo si è allargato a temi internazionali dando maggiore peso a quel tipo di lavoro giornalistico che aveva contraddistinto la vita di Ilaria.
Quali sono i valori del suo operato e della sua professionalità che senti anche tuoi?
Ilaria Alpi è una persona che tutti noi dovremmo prendere come riferimento. Il giornalismo spesso è troppo allineato ed embedded. Lei ha mostrato quello che invece il giornalismo deve essere sempre: indipendente dal potere. Un altro suo elemento caratteristico era la passione: la motivazione è quasi tutto in questo mestiere.
Come mai ha deciso di dedicare la sua attività ai temi del sociale?
Per una mia attitudine. Penso che gli ultimi rappresentino meglio la società, sono loro che vivono la vera realtà e tutto quello che viene deciso ricade innanzitutto sulla loro pelle. Poi il caso ha voluto che mia figlia nascesse con una disabilità visiva e questo ha ancora di più rafforzato il mio impegno e la mia convinzione.
Non pensa che questi temi siano presi poco in considerazione nelle redazioni?
Sì. Quasi tutti i capiredattori che ho avuto assegnavano a questi temi poca importanza. Ma è anche vero che qualcosa nel tempo è cambiato. Quando sono arrivato in Rai questi temi li assegnavano all’ultimo arrivato, ora invece tendono ad assegnarli quasi a tutti. Questo è fondamentale: sviluppare una sensibilità sociale è utile per qualsiasi tipo di giornalismo tu faccia, anche quello sportivo.
Qual è il modo migliore per raccontare queste storie?
Evitare qualsiasi tipo di pietismo o atteggiamento strappalacrime. Quello che ho sempre cercato di fare è mostrare il positivo e la bellezza che è presente anche in queste vite segnate dal dolore.
Nicolò De Carolis