Vittorio Zincone è celebre per le sue lunghe interviste pubblicate su Sette, il magazine del Corriere della Sera. È nel gruppo di autori della trasmissione Piazzapulita su La7. In televisione ha lavorato anche a Pronto Chiambretti e Markette, oltre a condurre Luci e ombre su History Channel. Si è occupato del caso Ilaria Alpi sul settimanale l‘Europeo e nel libro Vite Ribelli, cercando di ricostruire il caso documentandosi e incontrando le persone che avevano conosciuto la giornalista e avevano investigato sul suo omicidio.
Avere scritto di lei e della sua vicenda ha avuto delle conseguenze sulla sua vita o sulla sua attività professionale?
No. L’unica ripercussione è di tipo motivazionale. Sapere che qualcuno è morto facendo il tuo stesso mestiere, ti rende più responsabile.
Che ricordo ha di Ilaria e dell’episodio della sua morte?
Nel documentarmi trovai che la morte di Ilaria fosse un incredibile caso di sciatteria investigativa (nell’immediato) e un intreccio incredibile di piste giornalistiche e investigative.
Ha avuto rapporti con la famiglia, con i genitori di Ilaria?
Ho conosciuto il padre e la madre. Sono stato più volte nella loro casa. In quell’appartamento si respira il trauma della perdita di una figlia, la voglia fortissima di non rassegnarsi e di inseguire una certezza. La mamma di Ilaria ha un carattere duro, ma quando parla della figlia, quando descrive gli oggetti che lei le portava dai viaggi e quando riporta le loro ultime conversazioni, quella durezza diventa commovente.
Quali sono i valori dell’operato e della professionalità della Alpi che lei sente anche suoi?
Non smettere mai di fare domande. Non accontentarsi mai della versione ufficiale o più accessibile dei fatti.
Perché, a suo avviso, è ancora importante fare luce sulla vicenda di Ilaria e sostenere le attività dell’associazione e del premio? Perché è importante in Italia tenere viva la sua memoria?
Ci sono un milione di perché. C’è un aspetto simbolico: la memoria di un giornalista di inchiesta è un monito per chi fa lo stesso mestiere. Ci sono le lacune: nessuno oggi può dire con certezza perché Ilaria e Miran sono morti. E poi c’è l’Africa: non sappiamo se è morta per questo, ma Ilaria aveva capito, prima di molti altri, quanto l’Africa fosse il luogo della malacooperazione, dei traffici d’armi, delle discariche di rifiuti tossici. Faceva bene il suo mestiere.
Questa intervista è stata realizzata grazie agli studenti della Scuola di giornalismo dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.