Laura Bonasera, finalista al Premio Alpi: “Ho scelto di raccontare il dramma del lavoro”

Proponiamo l’intervista a Laura Bonasera, autrice dell’inchiesta Deroga nera. Un itinerario che ripercorre le strade dello sfruttamento nel distretto industriale del mobile imbottito di Matera. Tra sindacati e cassa integrazione in deroga, made in Italy e lavoro nero, la giornalista analizza cosa significa lavorare oggi in Italia.

Quali sono i motivi che ti hanno spinto a scrivere questo documentario?

Il motivo principale è stato realizzare qualcosa che mettesse al centro il tema del lavoro. Sono una ragazza giovane che viene dal Sud, che viene dalla Sicilia, una terra in cui il problema del lavoro si sente. Da lì sono partita per studiare il fenomeno della crisi, come la crisi stava impattando sulle aziende, i suoi effetti sul mondo del lavoro. Si è sempre parlato di delocalizzazione delle imprese, di flessibilità del lavoro. Partendo da questo, ho scelto di raccontare. Ho preso la macchina e sono arrivata a Matera. Quando sono arrivata non pensavo di trovare un sistema così strutturato, così consolidato. Ero arrivata lì con l’idea che ci fossero cassintegrati in difficoltà e un’azienda che aveva deciso di delocalizzare per ammortizzare il costo del lavoro. Poi ho scoperto un sistema molto più complicato, un sistema di schiavitù, senza tutele per i lavoratori. In questo caso la flessibilità del lavoro si ottiene sulla destrutturazione qualità del lavoro, sulla pelle dei lavoratori: la manodopera di fatto è pura merce priva di garanzia.

Nel bel mezzo dei cortei e degli scioperi spiccava lo slogan “Le nostre vite valgono più dei vostri profitti”. Partendo da questa frase significativa, ritieni che il sistema in crisi, dalla politica fino ad arrivare all’economia, possa legittimare processi di trasformazione tali?

No, nessuna legittimazione per processi che di fatto sono una truffa o comunque un’irregolarità. Dico semplicemente che, se un’impresa vuole rimanere in Italia, lavorare e produrre qui, è costretta in qualche modo a trovare un escamotage. I grandi marchi del made in Italy mettono in cassa integrazione gli operai e li fanno lavorare in nero dai propri conto terzisti cinesi. Un sistema illecito che riesce a garantire agli operai una somma di denaro mensile uguale a quella percepita con un regolare contratto: metà è costituita dalla cassa integrazione in deroga erogata dall’Inps, metà dalla paga a nero.

Rispetto ad una situazione del genere il sindacato come ha reagito?

I sindacati sono a conoscenza di questa situazione. Ci hanno segnalato i posti, ci hanno aiutati a fare questo percorso, questo viaggio. Quando però abbiamo posto ai maggiori esponenti delle tre sigle sindacali maggiori abbiamo riscontrato in effetti una reazione di quasi indifferenza. Credo che soltanto i sindacati possano fare qualcosa di reale, perché mantengono un contatto diretto con le istituzioni e sono strumenti di rivendicazione e conquista dei lavoratori. Volevamo sapere se il sindacato disponesse di un’idea, di una proposta per scardinare il meccanismo perverso del lavoro nero. Le risposte non sono state esaustive. Ribadisco che abbiamo riscontrato al Sud come al Nord fenomeni del genere.