Andrea Rasoli (Vice): “Nel nostro giornalismo un linguaggio diretto e senza filtri”

Stamattina il Premio Ilaria Alpi ha ospitato un incontro titolato “Vice on Sky Tg24”, tutto incentrato sulla collaborazione tra due realtà forse solo apparentemente molto diverse. Da maggio, infatti, l’emittente televisiva ospita i documentari realizzati dai giornalisti del ventennale progetto editoriale che stanno così percorrendo le orme dei colleghi americani trasmessi sull’emittente HBO. Sono intervenuti Andrea Rasoli, fondatore e publisher di Vice Italia, Renato Coen, responsabile della sezione esteri di Sky Tg24 e lo staff che contribuisce alla realizzazione del progetto: Chiara Caprio, producer, Giulio Squillacciotti, editor, e Davide Fonda, supervisore alla produzione.

Vice è un prodotto editoriale con un approccio giornalistico estremamente diverso da quello usato dai media tradizionali: suoi punti di forza sono innanzitutto il puntare su quel tipo di storie che nessuno racconta o che sono generalmente trattate in modo superficiale, e quello di utilizzare un nuovo tipo di linguaggio, più diretto e immediato rispetto a quello del giornalismo classico. “Quando parliamo di Vice, possiamo parlare di giornalismo intimo – dice Andrea Rasoli – Questo si caratterizza dal fatto che utilizziamo un tipo di linguaggio che possiamo definire privo di filtri e di establishment, cosa che per noi è fondamentale per stabilire rapporti e un certo tipo di complicità con i nostri interlocutori. Riusciamo ad andare oltre la barriera e a parlare per esempio con i movimenti che occupano le case o con il tossico di strada, senza quella speculazione giornalistica tipica degli anni 80 e 90 che ti sbatte la tragedia in diretta, ma con quella perdita di filtri che caratterizza da sempre il linguaggio di Vice. Siamo stati per anni ostracizzati dal mondo dei media più istituzionali perché parliamo di sesso, droga e rock’n roll senza filtri. Ad esempio, senza enfatizzare l’utilizzo delle droghe, le raccontiamo però in modo esplicito e senza demonizzarle, perché sappiamo che l’audience a cui parliamo molte volte ne utilizza numerose tipologie, da quelle leggere a quelle pesanti. Stessa cosa per i servizi che abbiamo fatto sullo Stato islamico o sull’Ucraina. Saper utilizzare questo linguaggio non è solo un’abilità, ma anche una caratteristica di chi lavora all’interno di Vice, un progetto molto più decostruito rispetto a quello dei media canonici”.

Per quanto riguarda i temi trattati, c’è un grosso sforzo da parte della redazione, che fa parte di un network di trentacinque paesi dove ognuno contribuisce a proporre nuovi argomenti, di ricercare non solo argomenti che generalmente non sono trattati dai media tradizionali, ma anche di affrontarli da un punto di vista differente. “Oltre a raccontare storie che riguardano i giovani, proviamo a raccontare news che sembrano generaliste ma che non sono esaustive per come vengono raccontate dai media. Noi pensiamo a storie già raccontate, ma lo facciamo da un altro punto di vista”, spiega Chiara Caprio. “Possiamo dire che cerchiamo di assumere un punto di vista laterale – aggiunge Giulio Squillacciotti – non attribuiamo ruoli a persone riprendendole da lontano, ma ci sediamo con loro. Ad esempio, nel caso di Perugia, approfondiamo la superficialità narrativa sul tema della droga, raccontandola mentre parliamo con un tunisino che ci spiega da dove la prende, e non giudicando né il tunisino che magari diventa un tossico, né la polizia che poi il suo lavoro lo fa. Questo vuol dire approcciarsi da un punto di vista laterale. Oppure, nel caso delle case occupate a Venezia, partiamo da un punto di attualità, come il piano casa di Lupi nel governo Renzi che vieta l’allaccio delle utenze a chi occupa uno stabile (quindi in teoria anticostituzionale), e invece di andare a Roma o Milano andiamo a Venezia, posto che ci aspettiamo solo bombardato di turismo, ma dove la percentuale di case occupate degli enti è altissima, diventando un’alternativa in un posto che sembra solo votato al profitto”.

Lo stile di Vice è inoltre estremamente innovativo perché unisce la qualità del lavoro e dell’inchiesta giornalistica all’alta qualità della strumentazione cinematografica. “Gli unici limiti che i documentari prodotti possono incontrare, sono quelli imposti dai limiti di legge, per cui a volte dobbiamo oscurare dei fotogrammi che non possiamo riprodurre, come per esempio i volti dei bambini – dice Renato Coen – per il resto c’è un’assoluta collaborazione tra la nostra redazione di Sky Tg24 e quella di Vice”.

L’incontro, trasmesso in diretta anche da Radio Capital, ha visto la presenza di più di un centinaio di persone interessate a capire questo nuovo progetto televisivo che, ormai da qualche tempo, è sempre più popolare. Con un target di persone tra i diciotto e i trentacinque anni che lo segue costantemente, Vice ha anche invertito quella tendenza che vedeva i giovani informarsi sempre di meno usando i canali tradizionali. In un periodo storico dove la televisione è vista sempre di meno inoltre, che questa nuova collaborazione non faccia riguadagnare al vecchio mezzo di comunicazione la popolarità che le è stata strappata dal web?

Natascia Grbic