Alfredo Macchi, girare il mondo per raccontarlo

Prosegue il viaggio nella storia del Premio Ilaria Alpi con le interviste ai vincitori. Oggi Andrea Prada Bianchi della Scuola di Giornalismo La Cattolica di Milano ha intervistato per noi Alfredo Macchi, vincitore del 2009.
Alfredo Macchi, classe 1967, a 13 anni voleva diventare giornalista. Oggi può sicuramente dire di avercela fatta. Dopo varie collaborazioni negli anni giovanili (Corriere, L’Espresso, Radio Popolare, Rai), a 25 anni sbarca a Mediaset dove lavora come inviato dai principali scenari di crisi. Kosovo, torri gemelle, Afghanistan, le devastazioni dello tsunami nel Tamil Nadu (India), Libano, Iraq, Haiti e primavere arabe: Macchi ha testimoniato con i suoi servizi e reportage i fatti più tragici del nostro tempo. Nel 2009, dopo aver tentato varie volte, vince il Premio Alpi per il miglior reportage breve italiano.
 
Che valore ha o ha avuto il Premio Alpi nella realtà giornalistica italiana?  
Per chi fa il giornalista televisivo in Italia è sicuramente il riconoscimento più prestigioso e un punto di riferimento per seguire l’evoluzione nel modo di raccontare in tv la realtà italiana e internazionale. Prima di riuscire a vincere nel 2009 con un reportage sui ragazzi afghani che a Patrasso si nascondono nei Tir per venire in Italia avevo inviato diverse volte i miei lavori.
 
Che ricordo hai di Ilaria o, se non l’hai conosciuta, dell’episodio della sua morte?
Purtroppo non mi è capitato di conoscere Ilaria di persona. Ricordo però il momento in cui ho avuto la notizia della sua morte: avevo da pochi anni iniziato il mestiere di giornalista e ne rimasi fortemente scosso. E’ per me uno di quei ricordi che restano indelebili, come la notizia del rapimento di Moro o dell’uccisione di Giovanni Falcone.
 
Quali sono i valori dell’operato e della professionalità della Alpi che senti anche tuoi?
Innanzitutto la voglia di andare sul campo a vedere con i propri occhi quello che succede per poterlo raccontare. Poi la caparbietà nell’andare a cercare la verità oltre l’apparenza, il non accontentarsi delle versioni di comodo che spesso vengono fornite ai giornalisti, il coraggio di indagare nelle storie fino in fondo e di riportarle poi con equilibrio, completezza, e tutti i punti di vista.
 
Quali sono le doti fondamentali che deve avere un giornalista per realizzare un buon reportage?
Curiosità e capacità di raccontare. Seguire storie interessanti non basta se non si sanno poi riportarle agli altri, senza cadere nei luoghi comuni o nella retorica, con tutte le loro sfumature, persino con i rumori, gli odori, le emozioni vissute. Ogni storia può essere interessante se si riescono a cogliere gli elementi essenziali, quelli che ci raccontano l’umanità. Per farlo serve esperienza, equilibrio e anche misura, perché se si eccede si fa un danno ai protagonisti di una storia e a chi l’ascolta.
 
Vantaggi e svantaggi del lavoro da free lance?
In teoria la libertà di scegliersi le storie da seguire e di avere il tempo per farlo. In Italia però non è così: i free lance sono così poco considerati dai giornali e dalle tv che devono incessantemente scovare notizie e storie da vendere a tutti i costi. Vengono pagati pochissimo e spesso non rientrano neppure delle spese sostenute.
 
Vantaggi e svantaggi nel lavorare con una redazione forte alle spalle?
Se riesci a sganciarti dal lavoro di routine in redazione, dove ormai si chiede ai giornalisti l’assemblaggio di notizie fornite da altri, allora avere una forte struttura alle spalle è importante, soprattutto se vai in zone di crisi o di guerra. Per me, che sognavo di fare il giornalista da quando avevo 13 anni e che continuo a farlo con passione, resta questa la parte bella del mestiere, girare il mondo e raccontarlo. Anche se è sempre più difficile farlo.
 
Che futuro ha il reportage nell’era di Internet?
La potenza del mezzo audio-visivo nel raccontare una storia resta imbattibile: immagini, sonoro e musica sono ancora il modo migliore per trasmettere testimonianze, emozioni e coinvolgere l’ascoltatore. Il web sta diventando fondamentale con i social network per diffondere reportage televisivi di qualità ad un pubblico mirato, interessato, che non è quello che fa audience sulle tv generaliste. Cominciano poi ad esserci interessanti esperimenti di reportage multimediali, in cui assieme al video si fa un uso intelligente di fotografia, audio, e informazioni aggiuntive, come mappe e link. Il potenziale più interessante di Internet è però quello di poter coinvolgere gli utenti nel tuo lavoro di inchiesta, facendoti aiutare (e correggere) da un vasto pubblico.
 
Quali sono i pregi e i difetti del reportage televisivo rispetto a quello classico?
Se per classico intendiamo il reportage scritto le differenze sono sostanziali. Un articolo di giornale deve essere ben scritto per far lavorare la fantasia e l’immaginazione del lettore, ma lo puoi fare anche sentendo le persone al telefono e restando in hotel. Un buon reportage televisivo deve avere prima di tutto le immagini di quello che racconta e quindi serve essere al posto giusto nel momento giusto. Poi deve avere ritmo, essere coinvolgente, saper partire da piccole storie per raccontare grandi avvenimenti. Se ben fatto è però molto più incisivo.