Marco Berry, la ricetta di Ilaria: curiosità e coraggio

A pochi giorni alla scadenza del bando del Premio Ilaria Alpi 2014, gli studenti della Scuola di Giornalismo de La Cattolica di Milano proseguono il viaggio nella storia del Premio intitolato a Ilaria Alpi che quest’anno compie vent’anni, intervistando i vincitori e i protagonisti. Vincenzo Genovese ha intervistato Marco Berry, vincitore nel 2003 del Premio della Critica per il programma Invisibili.

Dai numeri con cui si libera di corde e catene al completo scuro da inviato de Le iene, Marco Berry è molto di più che un semplice giornalista. Anzi, giornalista in senso stretto non lo è nemmeno: mago, escapologo, autore e conduttore, Berry ha fatto delle sue passioni la sua vita professionale, riuscendo grazie a un’insaziabile curiosità a raccontare realtà poco conosciute ai più. È il caso di Invisibili, programma di Italia 1 incentrato sulla vita quotidiana dei senzatetto, con cui ha vinto il premio Ilaria Alpi della critica nel 2003. Il programma è andato in onda su Italia 1 con 7 puntate fra il 2003-2004.

Ricevere questo premio ha cambiato la tua vita professionale?

Non posso dire che sia cambiata, però mi ha regalato una sensazione particolare. Penso spesso a come ha rappresentato il giornalismo Ilaria e al mistero che ancora circonda la sua storia.

Che valore ha questo Premio nella realtà giornalistica italiana?

Ha un significato importante, rappresenta tutti coloro che come Ilaria hanno il coraggio di raccontare la realtà da un punto di vista diverso.

Che ricordo hai di Ilaria o dell’episodio della sua morte? Hai rapporti con la famiglia, con i genitori di Ilaria?

Personalmente, purtroppo, non l’ho mai conosciuta. Ho incontrato sua madre alla consegna del premio ed è stata un’emozione fortissima. Sinceramente non ricordo nemmeno dove fossi o cosa stessi facendo il giorno della sua morte, ma la notizia mi ha colpito. Più volte ho pensato alla sua vicenda, a quanto sia rischioso scoprire la verità quando ci sono in gioco interessi forti e persone potenti a cui si pestano i piedi.

Quali sono i valori dell’operato e della professionalità della Alpi che senti anche tuoi? Questa figura ha influenzato in un qualche modo la tua attività professionale?

Credo che il suo tratto distintivo sia stato la voglia di non fermarsi mai, di non accontentarsi delle spiegazioni ufficiali. Questo è ciò che ci insegna, e che ha fatto in prima persona, pur non sapendo ciò che le poteva accadere.

Che idea ti sei fatto del caso e delle inchieste, ancora insolute, sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin?

Come si può essere soddisfatti? Non ci sono state risposte. L’unica spiegazione che posso darmi è che i traffici su cui ha indagato Ilaria non siano ancora finiti. È evidente che non è stata fatta chiarezza perché c’erano troppi interessi in merito. Chi o cosa ci sia dietro tutto questo, sinceramente, non lo so, ma deve avere risorse importanti.

Il duplice omicidio è avvenuto in una zona che conosci bene.

La Somalia è pericolosissima, l’ho capito quando con la mia associazione, Marco Berry Onlus, abbiamo costruito un ospedale a Hargeisa, nel Somaliland. Mancando di interesse per gli occidentali, molte aree del Corno d’Africa mancano anche di controllo e autorità: una sorta di “terra di nessuno” in cui qualsiasi affare illecito è possibile. La vita vale pochissimo e con qualche dollaro da spendere si possono compiere le peggiori atrocità. Basti pensare che l’ambasciatore italiano in Somalia vive a Nairobi, in Kenya, e ai tempi in cui mi trovavo lì chiamava noi per avere notizie.

Cosa consigli a chi intende seguire i tuoi passi?

Non sono un giornalista in senso canonico, non ho il tesserino dell’Albo. Mi piace paragonarmi a una scatola di matite colorate, con tanti interessi e una sfumatura diversa da dare alla mia vita a seconda del momento. A Le Iene mi sono occupato di tutto, dalle inchieste sociali ai servizi divertenti, ma credo che un buon giornalista sia guidato sostanzialmente da due cose, curiosità e coraggio: non a caso erano anche le parole d’ordine di Ilaria.

Vincenzo Genovese