“Sarò provocatorio, e dirò subito ciò che penso: i media italiani raccontano male le questioni internazionali perché c’è la convinzione che la politica estera non interessi e perciò non renda”. Inizia così l’intervento del direttore de La Stampa Mario Calabresi al master class “Gli esteri all’italiana”, davanti alla folta platea di addetti ai lavori, studenti e curiosi presenti al Premio Ilaria Alpi 2014. Il tema della lezione è il modo in cui i media italiani raccontano la politica internazionale, e Calabresi sceglie di affrontarlo affiancando “cartesianamente” una “pars destruens” a una “pars costruens”.
Nella prima parte vengono esposti alcuni tra i casi più eclatanti di cattiva informazione, casi che hanno finito per sedimentarsi nel senso comune e per distorcere la percezione condivisa di paesi e popoli stranieri. Tra i vari esempi c’è quello della Francia, dove, delle vicissitudini che hanno preceduto la crisi di governo, spesso si ricorda solamente la foto di Hollande col casco in motorino, che raggiunge l’amante Julie Gayet. Poi c’è l’India: pur essendo il paese con il più alto tasso di uscita dall’analfabetismo e dove il mercato editoriale si sta sviluppando molto velocemente, l’India è rappresentata in Italia solo dal caso dei due marò. Ma anche sujihad e immigrazione gli scivoloni della stampa nostrana sono all’ordine del giorno: la continua evocazione del pericolo di attentati in Europa copre il dato reale secondo cui i fondamentalisti islamici starebbero dirigendosi verso i paesi teatri di conflitto piuttosto che rientrare in occidente, e la cosiddetta retorica dell’“invasione” manipola la realtà in cui la maggior parte di coloro che sbarcano a Lampedusa non restano in Italia, ma preferiscono fuggire al più presto nel Nord Europa. Le mistificazioni che riguardano, in particolare, il fenomeno migratorio sono molteplici e vertono spesso sul pericolo di contagio. Alcune testate avrebbero affermato che il periodo di incubazione del virus Ebola sarebbe sufficiente a persone infette per arrivare nelle nostre spiagge, mentre i cosiddetti “viaggi della speranza” dei migranti sub-sahariani sono notoriamente ben più lunghi del tempo di incubazione medio di una settimana. Per non parlare della notizia degli “immigrati che portano in Italia il vaiolo”, virus debellato definitivamente alla fine degli anni ’70. Sui siti web, infine, superficialità e pressapochismo risulterebbero enfatizzate, e la scomparsa della sezione “internazionale” da molte testate online ne sarebbe una prova lampante. Ma l’aspetto più decisivo è senz’altro il fatto che “un’informazione corretta sugli esteri incivilisce, indirettamente, il dibattito politico interno di un paese”.
A questo punto Calabresi procede indicando una possibile via di uscita, che faccia alzare l’asticella del giornalismo internazionale: “Bisogna far vedere che raccontare il mondo è un valore, per fare in modo che per il lettore valga la pena ‘pagare il biglietto’ e comprare il giornale”.
Per indicare questa strada, il direttore analizza tre questioni.
La prima è quella, ineludibile, degli aspetti economici del mercato dell’informazione. Secondo Calabresi tagliare sugli esteri è la risposta più facile alla crisi dell’editoria giornalistica ma anche quella meno lungimirante e, alla lunga, controproducente. Se la passa meglio, ad esempio, Newsweek, dopo aver tirato i remi in barca nelle redazioni esteri? Sembrerebbe proprio di no. Perché allora non tagliare altrove, cambiare prospettiva, e rinunciare per esempio ai quotidiani ed estenuanti inseguimenti di Renzi e Napolitano? Ai tempi delle recenti visite del premier alle scuole italiane, Calabresi rinunciò a pagare una trasferta al suo inviato nella terza scuola visitata, affidandosi eventualmente, per dichiarazioni degne di nota, ai lanci d’agenzia. Una scelta facile ma, paradossalmente, considerata da molti direttori assurda e rischiosa, scelta che gli ha fatto risparmiare circa 1.500€. Inoltre, aggiunge Calabresi, “ricordo ancora quando 5 anni fa facemmo un numero speciale sull’Africa e vendemmo circa 50.000 copie in più della media”. Il punto è che “bisogna cambiare prospettiva nei confronti del web”: l’online sta diventando la sezione più seguita dei quotidiani e sono nati strumenti che permettono di tradurre storie approfondite su internet senza perdere qualità, come i cosiddetti “webdoc”.
La seconda questione è quella della fotografia: spesso fotografi freelance vengono inviati in zone pericolose e lontane senza essere dignitosamente retribuiti. Anche in questo caso la soluzione potrebbe essere dietro l’angolo, e potrebbe consistere nel rinunciare all’iscrizione a qualche agenzia, e dunque a qualche foto “mainstream”, per commissionare un particolare progetto fotografico a un freelance.
La terza e ultima questione avanzata da Calabresi è quella dell’Europa. “Di frequente si dice che l’Europa non ha una politica estera comune – ricorda il direttore – ma esiste un ‘giornalismo europeo’?” Spesso, secondo il direttore de La Stampa, si conosce poco persino la realtà dei paesi europei più vicini, i quali molte volte vengono dipinti attraverso stereotipi ed approssimazioni. “La sfida – conclude Calabresi – è fare un giornalismo serio, sforzandosi di raccontare accuratamente i contesti, per fornire alle persone chiavi di lettura utili a muoversi nello spazio in cui viviamo”.
Leonardo Filippi