Media e crisi internazionali sotto i riflettori al Premio Alpi

“Nessun titolo potrebbe essere più pertinente e attuale”. Ad introdurre il dibattito L’Europa tra Obama e Putin. Il ruolo dei media nelle crisi internazionali, che si è svolto ieri sera alle ore 21 presso il Palazzo dei Congressi di Riccione, sono le parole di Barbara Serra, moderatrice dell’evento. Proprio l’indomani (cioè oggi), si sarebbe aperto a Newport, in Galles, quello che è stato definito dal segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, come “un vertice cruciale in un momento cruciale”. Al summit della Nato si sono discusse le condizioni del cessate il fuoco nel conflitto in Ucraina col presidente Poroshenko, e poste le basi per la firma della pace prevista per venerdì a Minsk. Si tratta di un momento delicato per la storia europea, che dal 28 febbraio scorso sembra vivere una sorta di ritorno alla guerra fredda. Il ruolo dei media nelle crisi internazionali, e in particolare nella balance of power delle nuove relazioni tra Obama e Putin all’interno dello scacchiere europeo, diventa, oggi perfino più di ieri, una variabile chiave da comprendere e indagare.

Al dibattito sono intervenuti Giuliano Battiston, Giulietto Chiesa, Gigi Riva, Kevin Sutcliff e Giovanna Botteri in collegamento da New York City. Il confronto si è aperto prendendo spunto dalle recenti dichiarazioni di Mentana, secondo il quale la televisione dovrebbe limitarsi al solo compito di informare: senza alcuna pretesa di formare la coscienza del pubblico televisivo. “Per educare c’é la scuola”, ha sostenuto seccamente il direttore. Ma la scelta è davvero tra informazione e formazione? E, soprattutto, può essere lasciato al singolo consumatore televisivo il compito di colmare lo iato che intercorre tra le due, o il giornalismo dovrebbe quantomeno provare a rispondere al bisogno collettivo di essere informati e contemporaneamente formati? Secondo Gigi Riva, “è necessario distinguere tra i media, strumenti imperfetti, e il messaggio da essi veicolato”, e non c’è scampo: “il giornalismo non è una scienza esatta. Di volta in volta occorre scegliere se formare o informare, essendo soggetti a limiti ed errori”.

Giuliano Battiston è giornalista freelance, collabora con l’Unità e Il Manifesto, ed è attualmente uno maggiori esperti di Afghanistan: “Il buon giornalismo è quello di Kapuscinski, è quello delle buone intenzioni, che non sfocia nel voyeurismo ma mette al centro l’altro e l’informazione. Semmai, oggi abbiamo un altro problema: quello di un surplus di notizie, un eccesso di informazione che spesso non tiene conto della qualità”.

Più dura la posizione di Giulietto Chiesa, direttore di PandoraTv: “Gli ultimi vent’anni hanno cambiato tutto. I media non solo non formano, ma ormai non informano neanche!”, afferma con enfasi portando a casa un applauso spontaneo che ha coinvolto e animato il pubblico in sala. “Nessuno sa cosa sia realmente accaduto in Ucraina, si conosce solo la versione dei media occidentali. Il vero problema dei nostri giorni è che chi ha i soldi decide cosa si deve sapere”.

Il nuovo magazine internazionale, Vice, in crescita esponenziale sul web e fondato a Montreal nel 1994, vede nel suo direttore forse l’ospite più interessante del dibattito in corso. “Il giornalismo come lo abbiamo conosciuto finora è in crisi. Le notizie sono nelle mani dei singoli cittadini, alla portata di tutti. Basta un iphone, per essere ovunque e riprendere qualsiasi cosa. Questo crea dei problemi ai giornalisti. I nuovi protagonisti dell’informazione sono i giovani freelancers che rischiano la vita per documentare gli avvenimenti più caldi, e che a loro spese viaggiano ovunque e senza protezione. Alcuni dei miei ragazzi hanno corso rischi altissimi, uno è stato arrestato nel bel mezzo del conflitto ucraino, poco tempo fa”. Poi ha aggiunto: “Come si fa a gestire tutto questo? Come e chi può regolamentare anche Internet?”

Il ruolo dei media nelle crisi internazionali non può essere compreso prescindendo dalla comprensione di queste dinamiche e dal considerare questi interrogativi. Media e messaggio si rimandano reciprocamente, e insieme co-determinano la buona riuscita del prodotto informativo.

“Qual è l’impatto dei media sulla guerra, sulle elezioni politiche internazionali e sulle singole azioni delle nazioni?”, si chiede Battiston. “Si parla molto di Ucraina, per esempio. Nient’affatto di Afghanistan. Da un lato, ciò è legato a una ragione più semplice: l’Ucraina è più vicina, europea, ci interessa più direttamente. L’Afghanistan non ci riguarda. Ma c’è dell’altro: è il sistema che non va. E’ bulimico, interessato nel senso più proprio del termine. C’è un rapporto osmotico tra media e governi. Tra i media e i loro interessi.”

Interviene Gigi Riva, che dirige la sezione esteri de l’Espresso: “Il punto centrale, oggi, è la web reputation. Internet è una grande, gigantesca, massa di dati. Ma l’unica cosa che è ancora importante è la testimonianza diretta. La velocità però, di cui oggi disponiamo, la rende estremamente manipolabile. Serve un’autorità, una sorta di vigile del web, per distinguere l’informazione buona da quella cattiva. Serve della disciplina”.

La reputation è il valore che va preservato e tutelato. Che salva la professionalità, e fa di questo mestiere un mezzo per qualcos’altro, non un fine ultimo. Ce lo ricorda Giovanna Botteri, che si rivolge ai colleghi con un appello lungo e appassionato: “Nessuno di noi sarebbe qui, se non credessimo ancora nella possibilità di far bene il nostro lavoro. I mezzi che abbiamo a disposizione devono essere usati per arrivare, per smuovere anche un solo granello di sabbia. Per combattere la pessima informazione che c’é in circolazione. Per ricordare ai nostri connazionali che esiste un mondo oltre il Mediterraneo, che non si può regionalizzare l’informazione, che l’Italia non è il globo terrestre”. E prosegue: “Siamo come dei granelli di sabbia. Ma possiamo fare molto. Dobbiamo continuare a fare molto.”

Il tempo stringe. Barbara Serra deve ringraziare gli ospiti e salutarli. Il ruolo che i media svolgono nelle crisi internazionali ha animato un dibattito che non si conclude in sala, e la sua comprensione non può dirsi esaurita nelle due ore circoscritte all’evento. L’occasione però è stata senz’altro preziosa per rilanciare alcuni dei temi più importanti e significativi della nostra attualità, e le domande lasciate aperte sull’evoluzione del giornalismo 2.0. non ci sottraggono alla responsabilità di continuare a cercarne le risposte.

La polveriera ucraina

Per cercare di capire meglio le ragioni che si trovano alla base di questo dibattito, bisogna fare un passo indietro e capire le ragioni per le quali oggi in Ucraina c’è quello che si può definire uno scenario di guerra civile.

A novembre 2013 la popolazione ucraina ha iniziato a protestare contro la decisione del presidente Viktor Janukovyć di non procedere alla firma dell’Accordo di stabilità e associazione (Asa) con gli Stati membri dell’Unione Europea. La decisione di gravitare intorno all’orbita russa però, non è stata presa molto bene dai partiti dell’opposizione, e da alcune fette della popolazione. Tutto questo, unito all’impopolarità di Janukovyć, al centro anche per le polemiche legate alla sua presunta corruzione, ha fatto sì che la miccia si innescasse, facendo esplodere la bomba. Le piazze si sono iniziate a riempiere non solo di persone che protestavano pacificamente o usando metodi più legati alla disobbedienza civile, ma anche di gruppi armati legati a formazioni politiche d’estrema destra, come Svoboda e Pravy Sektor, che hanno in pochissimo tempo fatto degenerare una situazione già critica.

Fattori come l’intromissione delle potenze internazionali come Stati Uniti, Unione Europea e Russia, preoccupate di perdere uno Stato da cui passano i principali gasdotti che riforniscono l’Europa, l’annessione della Crimea alla Russia, e le continue minacce di sanzioni, hanno acuito ancora di più la crisi che, a oggi, sembra assumere le proporzioni e le caratteristiche di una nuova guerra fredda.

Nonostante gli scontri continuino in alcune regioni ucraine, è stato fissato per oggi alle 13 la firma della tregua tra le fazioni in guerra. C’è da capire quali saranno però le ripercussioni di una crisi che, lungi dall’essere circoscritta a un singolo Stato, ha assunto le proporzioni di una questione di primaria importanza nello scenario economico e politico internazionale.

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foto di Riccardo Gallina