Marcello Fois, il nostro film scomodo che ha messo in fila i fatti

Marcello Fois è nato a Nuoro nel 1960. Vive a Bologna da molti anni ed è laureato in italianistica. È autore non solo letterario, ma anche in campo teatrale, radiofonico e della fiction televisiva. Insieme a Ferdinando Orgnani ha scritto la sceneggiatura di “Ilaria Alpi. Il più crudele dei giorni”. Il film racconta la tragedia della morte di Ilaria Alpi e di Miran Hrovatin in Somalia.

Essere un interprete del caso Alpi o avere scritto di lei e della sua vicenda ha avuto delle conseguenze sulla sua vita o sulla sua attività professionale?

Chissà se “interprete” è la parola giusta per raccontare il mio lavoro sul caso Ilaria Alpi. Io preferisco pensare di essere stato un “esecutore”, uno cioè che, pasolinianamente, si è limitato a mettere in fila dati e avvenimenti attestati. L’intento, durante la scrittura della sceneggiatura de “Il più crudele dei giorni” non era quello di fornire un’interpretazione, quanto di fare il punto sui materiali difformi. Stiamo parlando di centinaia di migliaia di pagine di atti, prodotti intorno a questo caso. Più che di selezione, dunque, parlerei di riordino. A volte mettere in fila fatti “apparentemente distanti fra loro” rivela punti di vista scomodi.

Che ricordo lei ha di Ilaria o, se non l’ha conosciuta, dell’episodio della sua morte?

Non ho conosciuto direttamente Ilaria Alpi e questo da un punto di vista strettamente tecnico è stato un bene, perché non avevo alcuna idea preconcetta del suo carattere, né alcuna posizione intorno alle sue scelte. Ho potuto vederla al lavoro nelle ore e ore di filmati che ho visionato prima della scrittura della sceneggiatura del film su di lei. E ne ho tratto l’idea di una professionista rigorosissima, il che, nel nostro Paese soprattutto, non è sempre un benefit. Ho saputo della sua morte dal telegiornale, come la maggior parte degli italiani. Ho subìto lo sconcerto che notizie come questa generano; ho ascoltato con ansia le ipotesi più o meno fantapolitiche che sono state formulate a caldo. Insomma l’approccio con questa notizia è stato quello “naturale” di ogni cittadino…

Ha avuto rapporti con la famiglia, con i genitori di Ilaria?

Ritengo che avere avuto la possibilità di incontrare Giorgio e Luciana Alpi sia il maggior privilegio che tutto questo lavoro mi ha portato. La fermezza, la dignità e la coesione con cui hanno affrontato momenti difficilissimi hanno in qualche modo cambiato il mio modo di essere. Abbiamo un rapporto affettuoso anche se non assiduo. Giorgio, in particolare, aveva una tenerezza e una caparbietà davvero determinanti: tutti pensano che Luciana sia stata la “forte” della coppia, ma è stata solo la “front women”, quella che sapeva parlare, quella che si esponeva in pubblico. Tuttavia io credo che la dolcezza fermissima di Giorgio fosse il vero motore, direi il carburante, attraverso il quale gli Alpi hanno mantenuto a massimo regime il motore della ricerca della verità. Anche ora che se n’è andato, Giorgio resta un faro luminosissimo.

Quali sono i valori dell’operato e della professionalità della Alpi che lei sente anche suoi?

Professionalità, documentazione, mancanza di pre-giudizio. Ilaria Alpi era una narratrice, una che raccontava i posti, la gente che li occupava, i sommovimenti politici e sociali che determinavano le loro condizioni di vita. Ilaria Alpi faceva domande, non dava risposte: questo è considerato un vulnus alla tendenza generalizzata di volere uno spettatore, un lettore, un cittadino acritico. Chi accoglie le domande e si dà le risposte da solo, rischia poi di estendere questo atteggiamento persino alla cabina elettorale e, pensate un po’, di votare senza il ricatto di non aver avuto abbastanza strumenti per riflette. Ecco credo che l’atteggiamento intellettuale di scegliere il rischio di un cittadino attrezzato sia quanto vorrei che mi accomunasse a Ilaria Alpi.

 Perché, a suo avviso, è ancora importante fare luce sulla vicenda di Ilaria e sostenere le attività dell’associazione e del premio? Perché è importante in Italia tenere viva la sua memoria?

Perché non abbiamo altra possibilità che la Memoria: neanche la verità giunge così lontano. Chi parla genericamente di verità e giustizia spesso tende ad accontentarsi della verità processuale, che è una fase importante ma, qualche volta, liquidatoria. La Memoria ha la tendenza a mantenere in campo le questioni, a trasformarle in paradigmi, a controllarne e anticiparne gli sbandamenti e le derive. Va da sé che, se il risultato è quello che abbiamo sotto gli occhi, la conclusione deve essere che di Memoria oggi se ne esercita davvero poca. Un caso come quello di Ilaria Alpi ci spiega quanto costosa sia la Democrazia, quanta fatica quotidiana si debba fare per mantenerla attiva, per fare in modo che non si trasformi in una specie di “scimmia di se stessa”: la Democrazia è faticosa e costosa, solo la dittatura è gratuita.

Barbara Giglioli

Questa intervista è stata realizzata grazie agli studenti della Scuola di giornalismo dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

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