Il reality della politica in crisi: intervista a Carlo Freccero

La tv è in continua evoluzione. Dai tempi in cui fungeva da elettrodomestico fino al tentativo di oggi di fare da sostituta del parlamento. Poi c’è stato l’avvento del digitale con la sua galassia di canali, e l’apogeo della rete. “La tv non è più centrale. Non vige più il momento tolemaico in cui la tv generalista era la sola a dettare legge”, sostiene Carlo Freccero, la cui ultima fatica letteraria si intitola eloquentemente “Televisione” e snocciola tutto ciò che orbita dentro e attorno all’etere.

 

Quale stagione sta vivendo la televisione?

La tv è divenuta un sistema integrato con gli altri media attraverso il digitale, che è un alfabeto che ha permesso di mettere assieme tutti i media. Ora si assiste alla tendenza di ibridare tutto e questo causerà grandi terremoti, perché chi oggi è editore di mono-media sente maggiormente la crisi: i gruppi editoriali saranno sempre più importanti.

 

Questo riguarda anche l’Italia?

Da noi la tv rimane ancora il centro di gravità fra i media, dovuto al grande consumo di tv che se ne fa, in particolare di quella generalista. Questo per via del tipo di popolazione: anziana, legata alla tradizione e dove l’analfabetismo di ritorno è molto importante.

 

Com’è cambiato il modo di guardare la tv?

In Italia c’è un problema di ‘digital divide’. Un primo pubblico guarda la tv come se consultasse internet. Ognuno ha il suo canale, così come usa il suo social network. E poi c’è un tipo di pubblico che vede ancora il telecomando fermo a sette canali, se non sei. L’influenza della tv su quest’ultima fascia di popolazione è maggiore.

 

La popolazione è sempre più istruita e critica. Com’è mutato l’audience?

C’è una frattura netta tra digitale e generalista. La prima lavora sulla serialità e sull’immaginario, e crea ascoltatori-fun. Nella seconda, invece, l’audience rimane capitale: attraverso di esso capiamo le tendenze. Esso si avvale di strumenti quali le grandi cerimonie mediatiche e la politica.

 

Ecco, la politica. Quanto influenza la tv?

Moltissimo. Nella tv americana la politica è diventata un nuovo genere di fiction, il ‘political drama’, dove il potere è dominato dal complotto. La narratologia è influenzata dall’atteggiamento complottistico che c’è su internet e che oggi è fortissimo.

 

E in Italia?

Qui la politica è vissuta più come un reality/soap dove diventano protagoniste le storie dei politici, le loro avventure. La politica fornisce ogni giorno elementi di narrazione, di drammatizzazione, e quindi domina ancora la scena con i talk show.

 

Il politico che va in onda mette la tv al suo servizio o fa un servizio alla tv?

La tv ha ridotto la politica a un teatro. I partiti non contano più nulla, contano i leader. Oggi un politico deve saper comunicare. Alcuni esempi: Grillo conosce bene la televisione ed è diventato un leader. Renzi è figlio della televisione Anni 80 di Berlusconi. E poi c’è Berlusconi stesso, come tutti sanno.

 

Nella crisi politica degli ultimi anni che ruolo ha giocato la televisione? Demolitrice o di supporto?

La televisione ha cambiato la politica, perché il concetto di verità è stato sostituito dall’audience, dal sondaggio. Viviamo nella sondocrazia, nella teledemocrazia. La quantità ha sostituito la qualità. Ciò che conta non è più il discorso politico, ma la comunicazione.

 

Qual è il futuro della politica in tv?

Oggi con questo ritorno al neorealismo dovuto alla crisi economica, alla fine degli anni dell’emporio, credo che questa politica-spettacolo possa entrare in crisi, e me lo auguro.

 

Secondo lei chi sa raccontare meglio la politica?

Santoro ha saputo ibridare il ‘talk’ con l’inchiesta cinematografica, oltre a saper mettere in scena il fuori campo del palazzo. Poi c’è il modello-inchiesta dei privilegi del potere, quello della Gabanelli, molto forte e contemporaneo.

 

La tv come vive la crisi economica?

C’è un ritorno ai modelli degli anni passati. Il mercato è bloccato per problemi strutturali e politici, quindi ci si è fermati sui format sicuri, programmi che hanno una storia e un pubblico. Dunque non riescono ad emergere i giovani e i nuovi protagonisti.

 

Ecco, i giovani: quel è il loro futuro nella produzione televisiva?

Vedo che i giovani hanno molta difficoltà ad arrivare in tv. In Francia tutti i conduttori passano attraverso la radio. L’unica rivelazione di quest’anno è stato Iannacone.

 

Ovvero un signore, preparatissimo, di 51 anni.

 

(Mirco Paganelli)