Il lavoro di Stop Blanqueo giunge oggi a conclusione dopo due anni di attività volta alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica riguardo il tema delle infiltrazioni mafiose nell’economia legale in un territorio finora considerato fuori dalla portata delle mafie. L’ultimo appuntamento della due giorni organizzato in occasione del ventesimo premio Alpi ha visto il palazzo del Turismo ospitare personalità impegnate in due dibattiti diversi e complementari: la mafia che investe e quella che decide.
È il procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria Nicola Gratteri a ricostruire il percorso che ha portato al rivoluzionario cambiamento nell’organizzazione della ‘ndrangheta: all’inizio degli anni Settanta alcuni esponenti decidono di creare – attraverso l’istituzione di una nuova posizione gerarchica nella ‘ndrina, la santa – la “possibilità di entrare a far parte delle logge massoniche deviate: entrare nella stanza dei bottoni e interagire con il potere politico e la pubblica amministrazione”, dice Gratteri. Per la prima volta uno ‘ndranghetista battezzato dalla ‘ndrangheta poteva essere affiliato ad una loggia massonica deviata. Il procuratore spiega che “Avviene in quel momento il passaggio da ‘ndrangheta agropastorale a ‘ndrangheta imprenditoriale: è la mafia che decide”. “L’esistenza dell”informatore’, personaggio interno all’organizzazione appositamente scelto per tessere contatti con istituzioni e massoneria deviata è un fenomeno che sta crescendo”, afferma il procuratore di Reggio Calabria.
Come si evince dalle parole dell’ex magistrato Libero Mancuso, connessa alla questione è la verità celata dietro le grandi stragi della storia del paese a cui si stenta ancora a dare un nome. Come quella del 2 agosto del 1980 quando, a Bologna, nei pressi del luogo in cui esplode l’ordigno, viene posizionata strategicamente una valigetta nera contenente due passaporti stranieri per depistare le indagini degli inquirenti: dietro l’accaduto, i nomi di Musumeci e del colonnello Belmonte. Commistione tra mafia e massoneria è evidenziata anche dagli atti pubblici letti da Piera Amendola – già Responsabile Archivi Commissione P2 e Antimafia – relativi in modo particolare a quel Centro culturale Scontrino, a Trapani, su cui indagava Mauro Rostagno nei mesi che precedono il suo assassinio. Amendola snocciola una lista di nomi facenti parte delle otto logge massoniche che operavano nel Centro culturale: capimafia ed esponenti di Cosa nostra affiancano personalità delle istituzioni e della pubblica amministrazione.
“Il Grande Oriente d’Italia è composto da brave persone che sostengono la lotta alla criminalità organizzata”: l’affermazione di Giovanni Cecconi, avvocato ed esponente del Grande Oriente d’Italia, si scontra con le dichiarazioni del resto dei relatori. Le inchieste e i processi portati all’attenzione dell’avvocato Cecconi da Amedola, Gratteri e Mancuso – come il caso Cordova e Why not – testimoniano, infatti, l’esplicita presenza di infiltrazioni mafiose nella massoneria. A concludere la discussione sono state le parole dell’avvocato e massone: “Se cercate una massoneria che faccia sognare, sapete dove bussare!”.
I tentacoli delle mafie sulla Riviera Romagnola
Altra lunga parte dell’evento è stata dedicata alla “mafia che decide”, ossia quella che investe oggi parte del proprio capitale sulla Riviera romagnola.
“Il territorio risulta di grande appetibilità per il riciclaggio di denaro da parte della criminalità organizzata, ma esiste la consapevolezza della comunità e della categoria degli operatori commerciali”. Questa la fotografia della ricerca condotta da Vincenzo Scalia, ricercatore dell’Alma Mater Studiorum di Bologna, sulla percezione della presenza della criminalità organizzata in Riviera, presentata oggi, nell’ambito della conferenza La mafia che investe. Il riciclaggio e le estorsioni in Riviera. “È superata – secondo le parole di Gianguido Nobili, responsabile dell’area di ricerca per la regione Emilia Romagna – l’ipotesi Gambetta sull’impossibilità di infiltrazione mafiosa in zone diverse da quelle di origine”: tesi, questa, avallata dalla posizione di Stefano Padovano – Coordinatore Osservatorio della Legalità in Liguria – che testimonia la presenza, ormai trentennale, di cellule ‘ndranghetiste e di Cosa nostra sulle coste liguri.
La presenza della mafia in Emilia Romagna risale, però, agli anni Settanta, come rivelano le parole del magistrato Stefania Di Rienzo, quando delle intercettazioni registrano la voce di Giacomo Riina, zio di Totò Riina e personaggio di grande influenza sul territorio per oltre vent’anni. Sono gli atti processuali a parlare e a rivelare come ogni tipo di business illecito fosse in quegli anni sotto il diretto controllo di Giacomo Riina: “Per tutti gli affari si era obbligati a chiedere benestare di giacomo riina: terreni, allevamenti, furti, furti di tir, traffico di armi: essendo rappresentante, su tutto aveva l’ultima parola. […] Falcone aveva scoperto il ristorante-albergo in cui si svolgevano le riunioni di Cosa nostra qua” – continua la Di Rienzo –, ma disattenzione e svalutazione hanno portato a sottovalutare la situazione.
“In Romagna la criminalità organizzata sta diventando un allarme sociale”, commenta il Comandante della Guardia di Finanza Mario Venceslai, che ritiene necessaria una collaborazione con le amministrazioni locali per affiancare e supportare – in virtù delle competenze specifiche proprie della Guardia di finanza – i corpi di polizia locale in un controllo più attento sulle dinamiche finanziarie del territorio. Allo stesso modo è il sindaco di Rimini, Andrea Gnassi, a sottolineare l’urgenza di collaborazione tra le diverse parti della città: istituzioni, forze dell’ordine e cittadini, uniti nel fronte della lotta all’illegalità. Acceso è il confronto, a tal proposito, con il Presidente dell’Ordine dei commercialisti Piccioni, tirato in ballo da Gnassi perché sollecitato affinché la categoria che presiede si impegni nel portare avanti un lavoro più incisivo nel controllo della clientela. Di contro Piccioni si sente, invece, partecipe e protagonista di un progetto che investe tutta la categoria preciso tutto proiettato nel sociale, determinato nel contrastare le criminalità che minano i settori economici della Riviera.
La criminalità organizzata in Riviera affonda le radici nelle caratteristiche peculiari del territorio: “La vivacità imprenditoriale a forte propensione all’evasione, il divertimento notturno, la trasformazione estiva delle città in metropoli complesse e soprattutto la continuità territoriale con un Paese estero come San Marino, con scarsa trasparenza a livello bancario – afferma Venceslai – è terreno fertile per le attività malavitose in un momento di crisi come questo”. La soluzione esiste e secondo il sindaco di Bellaria Igea Marina, Enzo Ceccarelli, sta nella prevenzione: “Conoscere non vuole dire solo preoccuparsi, ma capire cosa abbiamo di fronte per agire in modo mirato, interagire con istituzioni e enti locali per sapere concretamente che succede nel territorio”.
Cristiana Mastronicola
Foto di Riccardo Gallini