Partiamo da tre numeri ed un grosso, fondatissimo, dubbio. I numeri sono quelli dei documenti relativi al caso Alpi, il dubbio è quello che non ci sia un metodo, un criterio che possa assicurare che, una volta desecretati, quei documenti siano veramente tutti. Ilaria Moroni, Andrea Palladino, Guido Romeo e Benedetta Tobagi, sono stati i protagonisti ieri pomeriggio insieme ad Angelo Miotto dell’incontro “Da Wikileaks a fonti repubblicane. Lavorare con i dati, i numeri ed i documenti storici” e lo hanno sottolineato ognuno in base alla propria competenza. Tobagi in primis: «con il lavoro che ho svolto per i miei primi due testi, quello sull’omicidio di mio padre Walter e quello sulla strage di Piazza della Loggia a Brescia, mi sono resa conto di quanto sia difficile, talvolta impossibile, andare a leggere e trovare i documenti. Molti sono solo cartacei, talvolta scritti a mano. Ora, dato che non esiste ancora un indice dei documenti archiviati e che, se esiste una mappatura degli archivi sia pubblici che privati, lo dobbiamo a Ilaria Moroni, come facciamo ad avere la certezza che i documenti desecretati siano davvero tutti quelli custoditi in quei 70 metri di scaffali?» I numeri, dicevamo all’inizio, sono quelli dei documenti relativi al caso Alpi. «Non avevo dubbi – ha aggiunto Palladino – che la Camera pubblicasse altri due documenti. Ad oggi i documenti disponibili sono 152, che si aggiungono ai 100 pubblicati a giugno. Ma si parlava di circa 2500 documenti. Ho provato a chiedere con quale criterio erano stati scelti quei 152, mi hanno risposto che sono stati trovati attraverso parole chiave decise dai funzionari della Camera. Per gli altri dicono che stanno aspettando di decidere dove mettere la locuzione “omissis” e dove lasciare tutto così com’è scritto. Non serve: il 17 giugno Renzi aveva detto che era tutto ok, che si poteva declassificare tutto». Ilaria Moroni è Direttore del Centro di Documentazione Onlus Archivio Flamigni. Ieri ha presentato docTrace, il nuovo software progettato da Hyperborea per la restituzione e la consultazione online di fonti documentarie di varia tipologia. «Abbiamo digitalizzato moltissimi documenti tratti da vari archivi – ha detto Moroni – sia pubblici che privati. Senza ricevere alcun compenso, è stato tutto lavoro di volontariato. Come molto di ciò che è stato fatto sul caso Alpi».
Che ruolo può avere, quindi, il data journalism in tutto questo? «Sui documenti d’archivio marginale – ha commentato Guido Romeo, di Wired – noi, ovviamente, abbiamo bisogno di numeri. Abbiamo fatto numerose inchieste, come quella relativa all’Italia dei veleni. Sul caso Alpi, e la desecretazione, diciamo che mi interesserebbe avere il numero delle votazioni e delle presenze nelle varie commissioni». Come risolvere però quel grande dubbio iniziale? «Creando una supplenza istituzionale o una partecipazione democratica alle ricerche. I cittadini devono capire che è importante leggere e recuperare i documenti relativi alla propria storia, come a quella del nostro Paese». Infine, anche i giornali dovranno fare la loro parte. «Occorre stargli addosso – sostiene Palladino – continuando a scrivere, a chiedere, a sollecitare la pubblicazione di quei documenti, tutti».
Selvaggia Bovani