Ilaria Alpi

Caso Alpi-Hrovatin, vent’anni di silenzio della giustizia italiana

di Mirinda Ashley Karshan

A comunicarlo al mondo è stata l’Ansa: la giornalista Ilaria Alpi e il suo operatore Miran Hrovatin sono stati uccisi il 20 marzo 1994 a Mogadiscio. I primi dispacci delle agenzie parlano di un’esecuzione. Una tesi che è stata confermata dalle autopsie effettuate sui corpi degli assassinati ma che è stata tenacemente negata dal Sismi (il servizio segreto militare), dall’Unosom e dagli uomini politici italiani travolti, nello stesso periodo, dallo scandalo Tangentopoli.

Tentativo di rapina, fanatismo fondamentalista, vendetta per le violenze esercitate dai militari italiani ai danni dei somali sono state le spiegazioni del duplice omicidio date dagli uomini protagonisti della cooperazione italo-somala. Ilaria voleva comprendere la verità di quella cooperazione e delle navi che, di proprietà della società Shifco amministrata da O. S. Mugne, erano state ufficialmente donate dall’Italia di Craxi alla Somalia di Siad Barre. Navi che avrebbero dovuto trasportare pesce, ma che probabilmente trasportavano armi e rifiuti tossici.

Arrivati a Mogadiscio il 12 marzo, il 17 Ilaria e Miran hanno intervistato il sultano di Bosaso A. B. Muse. Un’intervista che è stata la bussola che ha permesso ai giornalisti di trovare le verità che i loro colleghi avevano scoperto. La registrazione dell’intervista presenta due punti di taglio, e l’oggetto della frase “…venivano da Roma, da Brescia, da Torino, dal Regno Sabaudo a maggioranza” non fa parte della registrazione. Rintracciando i fili logici interrotti dai punti di taglio, il giornalista M. Torrealta ipotizza ciò che solo il sultano potrebbe confermare: l’oggetto della frase pronunciata da Muse prima che la registrazione riprendesse era la parola armi.

Ilaria Alpi intervista il sultano di Bosaso

Con in tasca questa ipotesi, Torrealta si reca a Gibuti per intervistare il Sultano: “Queste navi trasportavano delle volte delle armi, l’ho sentito, avevo in mente che Brescia aveva le fabbriche di armi e munizioni, lo sapevo”, dichiara il Sultano. “Lei diceva che le armi venivano da Torino, da Brescia?”, domanda Torrealta. “Forse… forse”, risponde Muse. Dichiarazioni che, dopo iniziali tentativi di diniego, il sultano ribadirà anche di fronte al pm Giuseppe Pititto nel ‘96.

Tra i tanti che confermano l’ipotesi che le navi della cooperazione trasportavano armi, il marinaio somalo M. Samatar imbarcato nel ‘94 sulla nave 21 Oktobar II, il marinaio italiano Biagio D’Aloisi, i funzionari della Cooperazione F. Oliva e P. Ugolini e, intervistato nel ‘95, M. Joar, il capo dei sequestratori della nave Faarax Oomar che Ilaria e Miran avrebbero voluto raggiungere durante il loro ultimo viaggio (“ero contento che [Ilaria e Miran] cercassero di venire da noi [sulla nave]”, ha dichiarato). Le inchieste giornalistiche hanno svelato prove e testimonianze che chiaramente dimostrano il coinvolgimento del Sismi e dello Stato italiano nel duplice omicidio. Ma l’unico ad aver pagato per la morte di Ilaria e Miran è H. O. Hassan, un somalo accusato di aver fatto parte del commando omicida.

A. A. Rage detto “Gelle” giunge a Roma nell’ottobre 1997: un testimone particolare che oltre a sostenere affannosamente che nel doppio omicidio il traffico d’armi non c’entra, afferma pure di conoscere una delle persone che si trovavano a bordo della Land Rover da dove sono scesi coloro che hanno ucciso Alpi e Hrovatin: H. O. Hassan. Il 10 gennaio ‘98 l’ambasciatore Cassini informa la Procura di Roma che due giorni dopo il somalo accusato da Gelle giungerà a Fiumicino insieme a dieci testimoni delle violenze commesse dagli italiani contro i somali e all’autista di Ilaria e Miran.

Appena sceso dall’aereo, Hassan viene arrestato. Assolto in primo grado, viene condannato in appello a 26 anni di carcere. Gelle, intanto, denunciato per calunnia da Hassan che ha da subito dichiarato di non aver fatto parte del gruppo di persone che hanno effettuato l’aggressione – e di aver invece ricevuto proprio da Gelle e dall’ambasciatore italiano, nell’ottobre ‘97, una proposta di soldi in cambio di una sua finta ammissione di responsabilità – è stato assolto perché “appare evidente l’impossibilità di pervenire ad un giudizio di colpevolezza”.

1994-2014: sono passati vent’anni e oggi come allora l’unica evidenza è l’impossibilità della giustizia. Una giustizia ancora immobile di fronte alla morte e incarcerazione di persone innocenti. Una giustizia ancora muta di fronte ai traffici di armi e rifiuti tossici che, scoperti da Ilaria e Miran nel ‘94, continuano probabilmente a salpare le acque dei nostri mari.

di Mirinda Ashley Karshan