Alessandro Marinelli è l’autore del documentario Pino Masciari. Storia di un imprenditore calabrese, vincitore del Premio IA Doc.
Abbiamo raccolto le impressioni e le suggestioni del giovane regista rispetto alla figura di Pino Masciari, testimone di giustizia, che rinunciò alla propria vita per combattere la criminalità organizzata.
Quali sono motivi che ti hanno spinto a girare un documentario su Pino Masciari?
Non c’è stato un vero e proprio motivo per cui mi sono avvicinato alla sua storia. Guardando su Internet ho conosciuto le vicende del testimone di giustizia di Pino Masciari. Gli ho scritto una mail per verificare la storia, ci siamo incontrati e dopo questo meraviglioso incontro, ho deciso di raccontare veramente la sua storia. Non c’erano documentari, c’erano solo piccoli pezzi giornalistici di due o tre minuti: non c’era un vero e proprio racconto che restituisse la verità su Pino Masciari. Ho incominciato a seguirlo per quattro anni finché la sua storia non si risolvesse. Non potevo realizzare un documentario esaustivo perché non aveva un finale. Dopo lo sciopero della fame, dopoché le istituzioni si sono riavvicinate, finalmente gli hanno dato il valore che meritava, allora lì c’è stato un buon finale, altrimenti sarebbe stata un’altra storia di denuncia con un finale oscuro.
Possiamo dire che c’è un finale un po’ aperto perché da un giorno all’altro potrebbero togliergli la scorta, farlo sentire in pericolo, perché difronte a certe situazioni è difficile uscire. Grazie al coraggio e per quello che ha fatto, è riuscito anche a scuotere l’opinione pubblica. La cosa più importante è che da solo non ce l’avrebbe mai fatta. Importante è che la società civile ha preso parte a questo cambiamento, la parte sana dello Stato, che poi siamo noi cittadini, con cui ha potuto far valere i suoi diritti. Gli “Amici di Pino Masciari” lo accompagnavano al processo, e questo ha fatto scalpore. Hanno intasato le mail del Ministero degli interni per farsi sentire. Hanno adottato tutta una serie di attività per far si che venisse riconosciuta questa figura importantissima del testimone di giustizia che in realtà sembra ancora una figura un po’ ambigua. Addirittura quando è stato inserito nel programma di protezione nel ’97, la legge per i testimoni di giustizia è stata inserita nel 2001. Quindi lui per quattro anni è stato considerato come un pentito, quando la scorta lo portava, era trattato al tavolo degli imputati come un pentito, considerato un infame, ma assolutamente non aveva niente di cui pentirsi. Ha subito intimidazioni, una richiesta estorsiva ed ha rifiutato. Non ha niente a che fare con le organizzazioni criminali.
Tu costruisci la storia e l’evoluzione del processo; nello stesso tempo hai riscontrato un’evoluzione nella coscienza di Pino Masciari nei confronti della mafia, una responsabilizzazione maggiore nel corso del tempo, oppure disponeva già degli strumenti culturali per affrontare ‘ndrangheta e mafia?
Ereditando l’azienda di famiglia, non era a conoscenza di quello che succedeva. Il padre lavorava nel privato e quando Pino ha voluto ingrandirsi, come tutti i figli che ripercorrono le orme dei padri, cercò di portare avanti nel migliore dei modi l’azienda. Nel momento in cui si mise nel pubblico, lì, iniziarono i guai. Subito ha preso i primi appalti perché era una grande impresa, la sesta nella Calabria. Sono arrivati a chiedergli estorsioni, lì incominciarono subito i problemi. Piano piano ha raggiunto consapevolezza, visto che non poteva fare più niente, visto che la sua azienda poteva andare nelle mani di questi strozzini, di questi malavitosi. Lui ha detto no. Non ha ceduto al ricatto ed ha denunciato. Ha avuto tantissimi problemi anche nel denunciare, perché molti della polizia non accettavano la denuncia per paura. Ricordiamo che dopo le stragi di Falcone e Borsellino nel 93 sono state aperte sezioni della Procura antimafia in tutta la Calabria. Masciari andava con un maresciallo dei carabinieri a testimoniare, indossando una parrucca.
Con il suo coraggio ha aperto ai magistrati uno scenario inquietante, devastante, che non conoscevano. Aveva cantieri sparsi in tutta la Calabria, su cui pesava la mano criminale. Ha squadernato alla procura antimafia un mondo che non conosceva. Aveva sempre avuto una fiducia incondizionata nello Stato ma in diversi momenti è stato abbandonato. Però ha avuto fiducia fino in fondo e poi è stato ricompensato alla fine. Non si può dire che lo Stato sia corrotto: come in ogni paese c’è la parte buona e la parte cattiva. Ha tirato fuori la parte buona, responsabilizzando le istituzioni in quello che devono fare, quindi lui ha continuato a resistere. La battaglia contro la mafia è venuta man mano…
Maurizio Franco