Elena Redaelli, vincitrice del Premio Alpi, racconta l’Italia dei Neet

Elena Redaelli ha voluto narrare uno spaccato inquietante della società italiana: con l’inchiesta televisiva Con gli occhi della neet generation realizzata per Lucignolo (Italia Uno) si è immersa nella realtà sotterranea della “generazione senza futuro”. Il protagonista è Matteo, un giovane che non studia, che non lavora, totalmente immerso nella propria alienazione, in un mondo precario che non dà risposte. Il servizio ha appena vinto il Premio Ilaria Alpi come miglior documentario dalla durata inferiore ai 15 minuti.

Che cos’è il fenomeno della neet generation?

I neet son una fascia della popolazione cosiddetta giovanile tra i 15 e i 34 anni, che non lavora, non studia, non svolge attività di formazione: è una categoria molto estesa che comprende sia i disoccupati da lungo tempo che i ragazzi che hanno perso la speranza di trovare lavoro, ma anche i disabili che non lavorano o persone che aspettano un lavoro all’altezza delle loro competenze. Parliamo, proprio perché la categoria è così estesa, di un numero impressionante di persone, quasi quattro milioni di giovani. Tra l’altro, mentre prima la categoria si fermava i 29 anni, adesso arriviamo fino ai 34: quindi giovani e non giovani.

È un fenomeno strutturato o è conseguenza della crisi economica?

È un fenomeno che è stato codificato per la prima volta negli anni 2000 in Gran Bretagna: non è conseguenza diretta di questa crisi economica. Probabilmente è figlio di una perdita di ideologie, di coesione sociale. Un fenomeno però che la crisi attuale ha amplificato. Questi ragazzi sono abbandonati a loro stessi e il loro unico “sussidio sociale” viene garantito dalla famiglia, l’unico ammortizzatore sociale in questo momento, almeno per quanto riguarda l’Italia

Analizzando il fenomeno, c’è differenza tra città e provincia?

Forse nelle città il fenomeno è più accentuato, la solitudine di questi ragazzi è più accentuata. In provincia esiste ancora il livello di comunità. Non dico che esistano programmi specifici per questi ragazzi, però sicuramente c’è più attenzione, soprattutto a livello famigliare. Nella città c’è molta dispersione.

Maurizio Franco