I bambini e la guerra: intervista a Gennaro Grimolizzi socio di Identità Europea

“I bambini e la guerra. Cartoline dall’inferno”, è la mostra fotografica che ha inaugurato a Riccione la XIX edizione del Premio Giornalistico Televisivo “Ilaria Alpi”. La mostra presenta gli scatti più significativi di Raffaele Ciriello, fotoreporter accreditato per il Corriere della Sera, ucciso a 42 anni il 13 marzo 2002 a Ramallah, in Cisgiordania, mentre stava riprendendo un carro armato israeliano. A cura di Paola Navilli ed Elisabetta Ponzone, la mostra sottolinea la particolare attenzione che Raffaele Ciriello ha sempre avuto nei confronti dei bambini che vivono in luoghi devastati dalla guerra, proponendo immagini scattate dal fotografo in paesi come Somalia, Pakistan, Afghanistan, Bosnia, Rwanda, Cecenia, paesi in cui le prime vittime dei conflitti sono sempre i più indifesi, i bambini.

Parla Gennaro Grimolizzi, socio di “Identità Europea”, l’associazione culturale che ha curato la mostra.

 

Lei ha conosciuto personalmente Raffaele Ciriello. Che tipo di rapporto vi legava? Raffaele era originario della Basilicata, io sono lucano. Nei pochi momenti che aveva a disposizione, tanti anni fa, ebbi l’occasione di conoscerlo nel suo luogo natio, in provincia di Potenza.

Qual è il significato della presenza degli scatti di Ciriello qui, al premio dedicato al ricordo di Ilaria Alpi? “I bambini e la guerra” è un titolo che dice tutto. E’ un titolo che fa riferimento alle prime vittime delle guerre, dei conflitti armati, i più indifesi: appunto i bambini. Quello che emerge da questa mostra è che le guerre sono criminali, e lo sono anche coloro che le provocano, e che armano le braccia e le mani dei bambini. E in questa mostra sono visibili dei bellissimi scatti di Raffaele Ciriello in cui proprio i bambini imbracciano le armi.

 

Raffaele Ciriello era un chirurgo prestato alla fotografia. Medico e fotografo: queste due sensibilità come hanno influito nel modo in cui ha raccontato la guerra?

Ciriello è stato un grande professionista sotto tutti e due i punti di vista. E’ stato un fotoreporter, ma prima di tutto un medico, che negli scenari di guerra cercava di aiutare i più sfortunati, e le persone che venivano ferite nei conflitti armati.

 

La mostra è dedicata ai bambini in guerra. Cosa ha spinto Ciriello a raccontare questo particolare aspetto?

Credo che negli ultimi tempi anche il fatto che la moglie aspettasse una figlia – quel maledetto 13 marzo 2002 la figlia di Raffaele aveva solo 18 mesi – nei mesi precedenti, e prima della nascita della piccola, abbia indotto Lello, come lo chiamavano gli amici, a documentare e ad essere ancora più sensibile verso le prime vittime delle guerre, come abbiamo detto prima, i bambini.

 

Puoi raccontarci un tuo ricordo personale di Raffaele?

All’indomani della morte, il padre di Lello mi raccontò un aneddoto toccante. Raffaele, quando aveva 14 anni, aveva vinto una borsa di studio. Dopo la vittoria di questa borsa di studio, poteva scegliere tra un viaggio a Venezia ed una macchina fotografica. Scelse la macchina fotografica, e da quel giorno la sua vita cambiò…e divenne protagonista di tanti scatti, tante testimonianze nei luoghi martoriati dai conflitti armati. Oggi i suoi scatti rivivono grazie alle persone che gli hanno voluto più bene, grazie anche alla passione del mondo delle associazioni culturali – penso in prima persona anche ad Identità Europea, penso all’impegno della moglie di Raffaele, la signora Paola Navilli, che è impegnata in tutta Italia a far conoscere la figura del marito, e a promuovere questa mostra. Questa bellissima mostra che oggi viene ospitata in occasione del premio Ilaria Alpi. Vorrei anche dire che l’allestimento della mostra con gli scatti di Raffaele vede protagoniste la sue foto per la terza volta, nel giro di un anno, perché appunto la mostra è nata circa un anno fa, nella primavera del 2012, è stata allestita prima nella provincia di Lodi, poi a Milano e oggi qui a Riccione.

 

Dalle foto si nota una particolare sensibilità di Ciriello per i bambini…

Raffaele non era un fotoreporter che faceva il suo lavoro in maniera asettica. Instaurava rapporti interpersonali con le popolazioni di cui documentava le sofferenze. Così, nei pannelli che vengono esposti oggi, si può notare ad esempio la fotografia di alcuni bambini che vengono fotografati da Ciriello dopo aver ricevuto da lui delle penne….cercava di conquistare la fiducia delle persone che andava a visitare, e che faceva conoscere con i suoi scatti.

 

La sua profonda umanità emerge anche da altri aneddoti che ci sono stati raccontati dai suoi colleghi giornalisti. Per esempio Lello era solito portare in alcuni casi dall’Italia veri e propri pacchi di fotografie, che poi donava ai soldati italiani che nelle visite precedenti aveva conosciuto, e con i quali aveva avuto modo di conoscere tante situazioni particolari e drammatiche…da questi racconti emerge proprio l’essere “galantuomo” di Raffaele Ciriello. Sì, proprio un galantuomo.

 

 

 

 

(Pompilio Salerno e Irene Mossa)