L’urlo di Ilaria: verità e giustizia nel giornalismo italiano dopo Ilaria Alpi

Ilaria Alpi era una che non taceva, “e non tacere dovrebbe essere un imperativo categorico per tutti i giornalisti”. Questo il fulcro della prima serata riassunto dalla conduttrice Tiziana Ferrario. Quella di Ilaria è la storia di una giornalista che ha scelto di rischiare la vita al servizio della storia, per raccontare vicende lontane intrecciate così pericolosamente con fatti domestici. Le riprese in Somalia riproposte alla platea hanno ricordato gli occhi affaticati di Ilaria, di chi ha visto molto, evidentemente troppo. Ma anche gli occhi di chi non si spezza. “Lo schifo che viene dall’Italia sbarca tutto qua”, scriveva Ilaria da Bosaso in merito al traffico di armi e di rifiuti tra i due paesi.

 

Come ha ricordato il presidente dell’associazione Mariangela Gritta Grainer, nell’uccisione di Ilaria, come in quelle di Mauro Rostagno e Vincenzo Li Causi, la parola verità rimane ancora insabbiata nella coltre dell’ingiustizia, ad opera della “macchina del fango”. Ma il premio non si limita a mantenere viva la memoria: esso vuole anche spronare le istituzione nel dedicarsi alla risoluzione del caso.

Eppure non c’è bisogno di andare molto lontano per rischiare. Basta rimanere in Italia. Marilena Natale, casertana, racconta ogni giorno storie di Camorra, “da una terra dove per 30 anni abbiamo assistito al suicidio dello Stato”. Rivela: “I problemi sono cominciati quando ho iniziato a parlare della politica in relazione alla mafia, perché un mafioso tiene in conto di poter andare in prigione. Un politico no”. Nonostante sia stata persino picchiata prosegue la sua battaglia per un motivo preciso: “I miei genitori hanno vissuto nella paura. Se faccio anch’io l’omertosa quale futuro darò ai miei figli”. Ora per la comunità è divenuta un “ufficio denunce”.

 

Domenico Affinito, Reporters sans frontières, ha evidenziato come l’Italia sia fanalino di coda della UE per la libertà di stampa. Inoltre, ricorda, nel mondo sono morti quest’anno 38 giornalisti (8 in Siria). “I rapimenti e i decessi sono cresciuti in seguito a due svolte epocali: il 2001 e l’avvento dei social network”. Basta guardare alla Turchia, il paese col maggior numero di giornalisti imprigionati (circa cento), come testimoniato da Marco Cesario che ha presentato il suo libro Sansür: censura in Turchia. “Con l’esplosione di Facebook è cambiato il modo di fare giornalismo. Ora anche i citizen journalist e i blogger rischiano molto, perché attraverso la rete si può dare più facilmente fastidio ai regimi”.

Jean Claude Mbebe sa bene cosa vuol dire avere contro il potere. Lui è fuggito dal Camerun dove risiedono quelli che definisce i “professionisti del silenzio” e vive come rifugiato politico in Italia. Ha in progetto una web tv per immigrati con l’obiettivo di implementare l’integrazione. “Vorrei mettere le mie forze al servizio dell’Italia. Ma l’Italia è pronta ad accettare la ricchezza che possono portare gli immigrati?”. Nessuno si domanda come vivano o cosa pensino della politica i 5 milioni di stranieri presenti nella penisola, manca il dialogo con gli stranieri e tra gli stranieri. “Eppure c’è un esercito di cittadini che vuole integrarsi”.

 

Giuseppe Giulietti di Articolo 21 desidera ringraziare “chi ha saputo dire no”. Per lui un paese dove schierarsi per la legalità significa essere eroi invece che essere normali è un paese con un problema. “L’eccezione dovrebbe essere la corruzione, non l’onestà”. Se oggi verità e giustizia hanno ancora un valore “è grazie a persone come Ilaria Alpi che avevano l’amore per gli oggetti e i soggetti oscurati”. E solo proseguendo questa lotta che Ilaria potrà continuare a non tacere e a urlare più forte.

 

Le foto della serata

 

(Mirco Paganelli)