Per un buon inizio c’è sempre un’ottima fine.
La sala Concordia del Palacongressi di Riccione esplode in un applauso scrosciante: un congedo romantico per la ventesima edizione del Premio giornalistico Ilaria Alpi, un saluto, un abbraccio finale, proprio nel momento in cui la stanchezza vacilla sotto i colpi di mortaio di una soddisfazione inesauribile. “Ci ritroveremo a Riccione anche l’anno prossimo”: le parole a caldo di uno dei tanti volontari accorsi al Festival, messo in tiro, con il bavero della camicia alzato, tanto per non sfigurare, tanto per rimarcare come il Premio sia stata un’occasione per tutti, un’esperienza da ripetere. Le apparenze stavolta non ingannano. Come possiamo dimenticare – e scusate per l’inciso, ma uso la prima persona plurale per accentuare la coralità del nostro lavoro – le parole del Presidente della Camera Laura Boldrini sulla desecretazione di tutti quei documenti che illuminerebbero sull’esecuzione di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin? Come dimenticare l’emozione, l’illusione, le aspettative per un pezzo dignitoso, per le interviste, per un microfono che pesa e per il timbro della voce smozzicato che diviene tempesta, davanti ad un Mario Calabresi, ad una Solange Lusiku Nsimire o ad un Roberto Scardova che denuda un intero Paese delle sue contraddizioni? Come dimenticare, il tono enfatico imbarazza purtroppo, la morte di Ilaria e di Miran, i rifiuti tossici e il traffico di armi, le inchieste, le domande che attendono risposte esaustive? “Come dimenticare?” è lo slogan, la prassi che ha impregnato fin dal primo giorno del festival, dall’esordio con le valigie ancora chiuse in albergo e delle notti insonni, dell’ansia da prestazione e dei primi incontri a Villa Mussolini, in una redazione improvvisata e creata in breve tempo ma carbonizzata dal “sacro fuoco del giornalismo”. In fin dei conti ciò che ci interessa non è l’inizio o la fine, ma il percorso intrapreso. Infatti l’esperienza di chi bazzica da decenni l’informazione, di chi la contorce, la rattoppa giorno dopo giorno in trenta secondi di video o sulla pagina bianca, ha trovato linfa vitale nel vigore di chi ha speranza, di tutte quelle persone che fremono per raccontare nuove storie e mettersi in gioco. La bellezza, il fascino del Premio è proprio questo: incontrarsi, scambiarsi punti di vista, interpretazioni che non combaciano, entusiasmo per la verità. Il dubbio è stato il pane quotidiano con cui le diverse generazioni di giornalisti hanno alimentato la riuscita del Festival, la tensione, umorale e razionale, che elettrizzava l’atmosfera di una Riccione in festa.
Maurizio Franco
(Maurizio e altri giovani volontari provenienti dalla Scuola di giornalismo Lelio Basso di Roma hanno seguito il festival per questo sito, con una professionalità invidiabile.
Li ringraziamo e gli auguriamo ogni bene e buona fortuna con il mestiere più bello del mondo.
M.R.)