La ragazza che voleva raccontare l’inferno

«Spesso si dice che la guerra sia una faccenda di uomini». La storia che Gigliola Alvisi racconta nel suo La ragazza che voleva raccontare l’inferno (Rizzoli 2014,153 pp., euro 10,50), invece, è una storia di donne. Ilaria, la collega ed amica Starlin Arush, Jamila e sua madre Amina, la giovane Lul, Hawa, Laila: sono le loro vite che si incontrano sotto i colpi di una guerra spietata e crudele, quella in Somalia, e si uniscono per un breve tratto.

AlvisiRAGAZZAINFERNO72dpi

 Intrecciando la prospettiva occidentale con quelle che paiono essere le pagine del diario segreto della bimba somala, l’autrice ci regala un’immagine di Ilaria suggestiva e concreta. «Donna bianca, sola, in una folla di uomini inferociti», Ilaria guarda la guerra con gli stessi occhi delle altre donne, conservando un’attenzione speciale per i bambini e per gli aspetti concreti della vita quotidiana, solitamente lasciati fuori dall’inquadratura della telecamera.

La presenza maschile in questo tessuto di relazioni femminili è Miran, «un uomo imponente, con un viso cordiale incorniaciato da una barba scura in cui spuntavano i primi fili bianchi (…) era nato fotografo, osservava il mondo con lo sguardo che calcolava già luce e inquadrature». È con lui che Ilaria condivide prima i sospetti e poi le scoperte di quell’indagine che conduce da sola e che rende i suoi giorni in Somalia sempre più densi e drammatici.

Anche il racconto di Alvisi qui si fa più asciutto e aderente ai fatti e dai dialoghi emergono molti punti dell’inchiesta che Ilaria stava conducendo: le mareggiate dalle quali affiorano i fusti di materiali ignoti, i rifiuti inabissati al largo della coste somale, persino le navi affondate per farli sparire per sempre, le malattie e le malformazioni nella popolazione locale.

E poi c’è la strada. Quell’autostrada costruita nel nulla del deserto, con i soldi della cooperazione e il sospetto che sotto l’asfalto si seppellissero i rifiuti italiani. E poi le ultime telefonate, l’uscita di corsa dall’hotel, l’agguato (descritto con un’efficace slow motion), gli spari. E quel segreto che muore con loro. «Chi altro lo sa?» aveva chiesto Miran. «Nessuno. Soltanto io, e adesso anche tu».