In questi ventidue anni sono entrata più volte nel mondo di Ilaria, dal momento della sua esecuzione, quel 20 marzo 1994.
Con la volontà di cercare nei suoi lavori una traccia per capire la sua morte, innanzitutto.
Con la consapevolezza che quel che rimane dei suoi appunti sia solo una minima parte di quanto è stato purtroppo trafugato, eliminato, occultato.
Con la curiosità di capire più a fondo il suo lavoro fino a quel momento, per ripercorrere il filo delle sue ricerche, delle sue indagini e delle sue inchieste.
Con la simpatia che si prova per una giovane donna appassionata di un lavoro difficile, di un mondo lontano.
Con la stima e l’affetto per Giorgio e Luciana Alpi, indomabili, grazie ai quali Ilaria è un simbolo, un esempio per l’Italia migliore.
Insieme alla tenerezza che pervade i suoi lavori nel raccontare storie tremende e straordinarie si sente la passione, l’umanità e l’amore: Ilaria pensava che è la gente comune di primaria importanza e che è la felicità delle persone lo scopo supremo di ogni azione umana. E cercare di capire non tacere perché questo mondo è profondamente ingiusto e raccontarlo era per lei una vocazione “insopprimibile”. Così come il profondo rispetto delle persone che il suo lavoro raccontava.
A far paura, dunque, è stato il suo talento da viva.
Non tacere l’ingiustizia, le violenze, le guerre, le diseguaglianze insopportabili.
Non tacere le ragioni che ne sono causa e che spesso hanno a che fare con affari sporchi, traffici illeciti di ogni tipo organizzati dalle criminalità mafiose “coperte e/o aiutate” da pezzi di poteri pubblici e privati.
Per questo Ilaria è stata assassinata “nel più crudele dei giorni”, insieme a Miran Hrovatin, quel 20 marzo 1994 a Mogadiscio: un’esecuzione preordinata e ben organizzata perché lei tacesse per sempre e non potesse più raccontare.
Il contesto in cui viviamo spesso “obbliga” a tacere perché si sa che la parola ha un potere enorme soprattutto se arriva a tante persone. Lo sanno bene i tanti giornalisti e/o scrittori che vivono minacciati e “blindati” perché non hanno voluto tacere.
E’ il tacere come omertà silenziosa e colpevole di chi in tutti questi anni ha coperto ostacolato la ricerca della verità su questa esecuzione come su tutte le stragi che hanno insanguinato il nostro Paese.
E’ il tacere che ha molto a che fare col “non mi riguarda” che anche molti delle istituzioni dello Stato hanno mostrato e mostrano nella loro attività quotidiana.
E’ il tacere che ha costruito “muri di gomma” piste false, false prove.
Non tacere: Luciana e Giorgio Alpi hanno scelto di non tacere in tutti questi anni di dolore straziante e con loro tutti noi che siamo stati e/o abbiamo lavorato con l’associazione ilaria alpi, le moltissime scuole, istituzioni, associazioni, decine di migliaia di cittadine e cittadini impedendo di fatto l’archiviazione dell’inchiesta.
Sappiamo che Ilaria aveva raccolto materiale importante e anche le prove di un traffico d’armi e di rifiuti tossici individuando responsabilità.
Sappiamo quel che è successo quella domenica 20 marzo 1994.
Sappiamo quel che è successo prima e anche dopo.
Sappiamo il perché, forse anche da chi era composto il commando assassino. Non sappiamo con certezza chi ha ordinato l’esecuzione e chi ha coperto esecutori e mandanti.
Si è concluso proprio oggi 19 ottobre 2016, a Perugia, la revisione del processo nei confronti di Hashi Omar Assan che era stato condannato definitivamente a 26 anni di carcere (26 giugno 2002) per concorso nell’assassinio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Ali Rage Hamed detto Jelle, testimone d’accusa chiave nei confronti di Hashi, era apparso da subito un falso testimone e Hashi un vero e proprio capro espiatorio. La sentenza del processo di primo grado (luglio 1999) che assolve Hashi lo aveva confermato a chiare lettere scrivendo della “… costruzione di un capro espiatorio stante che “il caso Alpi pesava come un macigno nei rapporti tra Italia e Somalia” e stante che “alcune piste potrebbero portare a ritenere che la Alpi sia stata uccisa, a causa di quello che aveva scoperto…”
Dunque Jelle ha mentito accusando Hashi Omar Hassan, è stato pagato per mentire, come sostiene da anni.
Ecco perché il nuovo processo scagiona Hashi che ha già scontato una pena di quindici anni.
Hashi Omar Assan è innocente, non ha sparato, non era nemmeno presente sul luogo dell’agguato.
Ma allora chi ha ucciso Ilaria Alpi e Miran Hrovatin? E chi ha ordinato l’esecuzione e perché?
Si dovrà riaprire tutta l’inchiesta sul duplice assassinio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.
Bisogna infatti sapere chi ha ucciso, esecutori e mandanti.
Ma anche scoprire chi ha depistato, chi ha costruito carte false e chi nell’estate 1997 ha “creato” il capro espiatorio Hashi Omar Assan.
E’ una condizione necessaria per avere verità e giustizia.
Le istituzioni di questa nostra Repubblica hanno accumulato un grande “debito” nei confronti di Ilaria e Miran, delle loro famiglie. Ma anche nei confronti di tutto il paese. Forse il tempo di riparare è iniziato: la Camera dei Deputati (con il sigillo della Presidenza del Consiglio), nel ventennale della morte di Ilaria e Miran, ha desecretato tutti i documenti relativi a questo caso (e a molti altri): si può vedere nell’archivio della camera il sito intitolato a Ilaria Alpi (che contiene anche tutti i suoi lavori).
Si è capito finalmente che:
Cercare la verità, non ostacolarne la ricerca non danneggia la Repubblica italiana ma la onora esaltando i principi della Costituzione.
Ilaria continua a essere un esempio forse anche perché in lei ognuno può cercare, trovare qualcosa di sé: l’interesse per gli altri mondi dentro e fuori il nostro mondo, l’indignazione per le ingiustizie e le atrocità che continuano ad accadere, l’amore per ciò che si fa, per la conoscenza, per la cultura. L’amore per tutto quello che avvicina le persone ad altre persone, vive o morte.
Ilaria ci lascia una “eredità” impegnativa.
Mariangela Gritta Grainer
Valdagno 19 ottobre 2016