C’è tempo fino al 31 maggio per partecipare al Premio Giornalistico Televisivo Ilaria Alpi, in programma a Riccione dal 4 al 7 settembre (il bando è reperibile al sito www.premioilariaalpi.it).
In attesa di conoscere i finalisti, ripercorriamo la storia del premio che quest’anno taglia il traguardo della ventesima edizione con le interviste ai vincitori. Oggi intervistiamo “la iena” Enrico Lucci che vinse il Premio Ilaria Alpi nel 1996.
Enrico Lucci, nato ad Ariccia, in provincia di Roma, è al programma Le Iene da quasi vent’anni. Inizia la sua carriera come inviato di alcune emittenti televisive del Lazio e sbarca alla Rai nel 1993. In quel periodo, tra i corridoi di Rai3, incontra Ilaria Alpi, di cui ricorda l’energia ed il coraggio. Lucci ha vinto la seconda edizione del Premio a lei intitolato, nel 1996.
Con quale lavoro?
Ho vinto il Premio con un servizio realizzato quando lavoravo a Telesogni, un programma su Rai3. Erano gli anni in cui si parlava tantissimo di audience e di share ed io volevo capire che cosa fossero. Nel servizio ho ripreso in un’unica carrellata ininterrotta, realizzata in camera car, il Serpentone, un palazzo di Roma con una facciata lunga un chilometro: come audio ho utilizzato le voci delle persone che abitavano in quel palazzo. Avevo chiesto loro di raccontare il modo un cui guardavano la televisione, per capire chi fosse quest’audience, per sapere che cosa accadeva quotidianamente di fronte alla televisione. Scoprii che c’è chi cucina, chi fa l’amore. Le persone, insomma, fanno quasi sempre altro, mentre la “guardano”.
Quello stesso anno hai realizzato il tuo primo servizio per Le Iene. Te lo ricordi ancora?
Certo. Avevo intervistato il deputato Teodoro Buontempo, detto “Er Pecora”. Non posso dimenticarlo, mi aveva mandato a quel Paese.
Che valore il Premio Ilaria Alpi nella realtà giornalistica italiana?
Ha il merito di essere rimasto un premio serio, che continua a ricercare e a sottolineare prodotti giornalistici di valore e di qualità. È un premio che a differenza di altri è ancora “libero”: vince chi merita di vincere.
Hai mai conosciuto Ilaria? Che ricordo hai di lei?
La conobbi di sfuggita nei corridoi di Rai3, dove lavoravamo entrambi. Era una ragazza iperattiva, che non si è mai fermata di fronte a niente. Bisogna smetterla con quel buonismo per cui le donne, in quanto donne, devono essere chiamate brave per forza. Se una donna è eccezionale, lo è tanto quanto un uomo; se non vale nulla, non vale nulla, esattamente come un uomo. Ilaria, senza dubbio, era una donna eccezionale.
Quando hai capito di voler fare il giornalista?
Mai. Ho studiato ragioneria, poi sono passato a storia e a lettere. Mi piaceva la comunicazione, ma non sapevo realmente dove sarei arrivato finché non mi ci sono trovato.
Sei una Iena da quasi vent’anni. Hai mai pensato di fare altro?
Mi sento una Iena al 100%: credo sia il programma della mia vita. Lì ho potuto riversare tutto il mio amore per il partito Comunista Italiano e poi, dopo tutti questi anni, sono legato agli autori e ai colleghi storici da un bellissimo rapporto. Le Iene continua ad entusiasmarmi, nonostante la stanchezza dell’età, quindi mi piacerebbe morire da Iena.
Qual è il servizio che hai realizzato durante la tua carriera di cui vai più fiero?
Quello che mi appenderei alla giacca come una medaglia al valore è sicuramente quello in cui feci rinnegare Benito Mussolini a Gianfranco Fini, nel 2002. In quel periodo Fini era molto potente: stava per diventare ministro degli esteri del Governo Berlusconi.
Com’è cambiato il tuo modo di fare giornalismo in questi anni?
Prima ero più irruento. Di fronte ad una persona che odiavo non riuscivo a trattenermi. Con gli anni ho sicuramente affinato la mia tecnica di disprezzo e di ironia: ora fingo di essere un idiota e nel frattempo dico quello che realmente penso.
Alcuni definiscono i tuoi toni “esagerati”. Ti sei mai pentito dei tuoi servizi?
A volte mi sono pentito e persino scusato. I miei servizi hanno toni diversi: ci sono quelli in cui esagero, ma è palese che lo sto facendo. Voglio raggiungere il ridicolo, illustrare il grottesco ed il paradossale, per immergermici a piè pari. In altri servizi, invece, preferisco quasi sottrarmi. Ci sono cose che per essere raccontate hanno bisogno giusto di uno sguardo: in un mondo di democrazia e libertà d’espressione spesso le cose parlano da sole.
Ai giovani giornalisti o aspiranti tali, chi ha più esperienza nel settore spesso consiglia di lasciar perdere.
Lo fecero anche con me, ma io non diedi retta a nessuno. Non ascoltateli, nemmeno voi: se è il lavoro che vi piace, in cui credete di poter mettere interamente voi stessi, provateci. Fate la prima domanda che vi passa per la testa, eliminate le censure. Il mondo non è né buono, né cattivo: dovete cercare di intercettare ciò che accade, le occasioni che vi si presentano. Certo, non c’è nulla di facile, la vita è piena di compromessi, ma si può sempre giocare al rialzo. Io ci ho sempre provato, con tutte le mie forze.
Quali sono i valori dell’operato e della professionalità di Ilaria che senti anche tuoi? Questa figura ha influenzato in un qualche modo la tua attività professionale?
Ammiro la sua onestà di fondo e, sinceramente, non mi ritengo alla sua altezza. Ilaria ha sacrificato la sua vita e non ha avuto paura, nonostante fosse cosciente dei rischi che correva. È morta perché amava il suo lavoro: quello è il vero coraggio. Io, in confronto a lei, sono sicuramente un vigliacco.
Questa intervista è stata realizzata grazie agli studenti della Scuola di giornalismo dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.