#NoiNonArchiviamo
Un 20 marzo quello di oggi ancora più triste ma anche di passione e di impegno rinnovati forti per tutti noi.
Più triste perché Luciana e Giorgio non sono più qui anche se li sentiamo accanto insieme a Ilaria, indissolubili come lo sono sempre stati.
Più passione e impegno perché per la terza volta è stata chiesta l’archiviazione dell’inchiesta sulla morte di Ilaria e Miran nonostante siano emerse cose importanti a partire dal fatto che Hashi Omar Hassan è stato scarcerato dopo 17 anni perché innocente. Amhed Ali Rage detto Jelle, il suo accusatore ha detto il falso. Soprattutto novità sul certificato di morte stilato a poche ore dall’agguato il 20 marzo 1994.
“Noi non archiviamo. Il giornalismo d’inchiesta per la verità̀ e la giustizia”: il titolo impegnativo e il luogo Istituzionale in cui si svolge questa giornata, la presenza e le parole del Presidente della Camera, segnalano la solennità per ricordare Ilaria e Miran.
Ilaria, la donna la giornalista, che del giornalismo d’inchiesta è stata un esempio lucente. E che, insieme a Miran, è stata uccisa perché non potesse più raccontare.
La solennità segnala che chi è qui oggi opererà perché sia fatta giustizia e verità, chi lo ha fatto in questi anni fino a qui e anche chi non lo ha fatto. È già emerso dalle parole dell’on. Walter Verini e del Presidente della Camera Roberto Fico (che ringrazio): un impegno concorde perché la camera dei deputati possa proseguire, con nuovo impulso, il lavoro già avviato nelle precedenti legislature.
Ma Sappiamo che senza Giorgio e Luciana adesso sarà tutto più difficile. In questi giorni ci sono molteplici iniziative ma se si spengono le luci può ritornare il silenzio: dobbiamo impedirlo.
Da venticinque anni sono parte di questa storia tragica, come ha ricordato Marino Sinibaldi.
Ho iniziato ad occuparmene appena eletta deputato come componente della Commissione bicamerale d’inchiesta sulla cooperazione con i Paesi in via di sviluppo: un’inchiesta che fin dai primi giorni è apparsa difficile e non solo perché relativa a fatti accaduti a Mogadiscio, lontano in Somalia.
Ho avuto il “privilegio” grande di seguirla accanto a Luciana e Giorgio, da vicino: a partire da quando ci siamo conosciuti in occasione della prima audizione che la Commissione programmò.
Ci vedemmo la sera dopo vicino al Pantheon. Giorgio aveva una borsa di tela che mi ha passato con “timidezza” e gentilezza, tratti distintivi di Giorgio (che esaltavano la durezza delle sue dichiarazioni): c’era il primo materiale che avevano raccolto puntigliosamente. Mi chiesero se potevamo vederci a casa loro perché saremmo stati più tranquilli e perché sentivano che ci saremmo intesi. E avevano ragione, fu proprio così.
Ho raccontato l’inizio di questa storia privata parallela al mio impegno politico e civile nella ricerca della verità e che prosegue con più vigore: sono due storie che hanno cambiato la mia vita. L’intreccio tra il lavoro politico e civile di ricerca appassionato e la relazione di affetto/amicizia dolore/condivisione indignazione/sofferenza è stato ed è fortissimo.
Abbiamo sentito le parole di Armando Rossitto, il medico che eseguì il primo esame esterno sui corpi di Ilaria e Miran subito dopo la loro esecuzione. È una testimonianza importantissima perché quel certificato di morte di Ilaria si potrà vedere solo dopo la condanna definitiva di Hashi Omar Hassan e dopo la desecretazione dei documenti avviata dalle Presidenze della Camera, Laura Boldrini e del Consiglio nel 2014.
Luciana e Giorgio ne chiesero copia in più occasioni, anche con una lettera allo Stato Maggiore dell’esercito nel gennaio 1998: il collegio dei periti che eseguirono la prima autopsia lamentava di NON aver avuto accesso alla documentazione fotografica e medica eseguita sulla nave Garibaldi. Si avvia un carteggio che si concluderà con un nulla di fatto. Analoga richiesta, insieme ad altre, faranno al Presidente della Repubblica in qualità di Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura nel novembre 1999: solo mesi dopo saranno ascoltati da una commissione del CSM, solo ascoltati, solo ascoltati.
All’arrivo dei corpi in Italia, per Ilaria si eseguirà dunque solo un esame esterno.
Il certificato di morte stilato il 20 marzo 1994 è inequivocabile. Lì c’è scritto che Ilaria è stata uccisa con un solo colpo in testa. È perciò documento di primaria importanza ed evidenza: provo a spiegarne le ragioni elencando alcuni punti fermi delle sentenze.
La sentenza di Perugia (12 gennaio 2017) si conclude con due punti importanti:
“…deve revocarsi la sentenza emessa dalla Corte d’appello di Roma …nei confronti di Hashi Omar Hassan, con conseguente assoluzione del predetto reato ascrittogli per non aver commesso il fatto.”
“…indipendentemente da chi fosse stato l’effettivo ‘suggeritore’ della versione dei fatti da fornire alla polizia …il soggetto Ahmed Alì Rage detto Jelle, dichiarando il falso, potrebbe essere stato coinvolto in un’attività di depistaggio di ampia portata…” e non solo relativo a questa vicenda.
L’occultamento di quel certificato può essere stato alla base di un’attività di depistaggio partita fin dai primi giorni e non aver riguardato solo alcuni episodi relativi alla condanna di Hashi Omar Hassan, e forse ancora in atto (come trapela nella stessa sentenza e nella opposizione alla richiesta di archiviazione).
Ma la Procura di Roma il 17 giugno 2017 chiede ancora una volta l’archiviazione.
Si legge:
“…che tutti i reati ipotizzabili nella sentenza di Perugia sono ‘estinti’ per prescrizione”. E che il reato di depistaggio (se ci fosse), introdotto dalla legge del 2016 n.133 “…non può certo trovare applicazione per fatti antecedenti la sua introduzione.”
Luciana Alpi, tramite i suoi legali, fa opposizione netta perché
Il depistaggio persistente è legato a un reato gravissimo: duplice omicidio premeditato per il quale non esiste prescrizione.
Si legge ancora: ”… l’ipotesi che il lavoro svolto da Ilaria Alpi su …qualcuno dei traffici illeciti fiorenti in quell’epoca in Somalia dilaniata dalla guerra …resta un’ipotesi dato che la perizia balistica, che è l’unico dato oggettivo che avrebbe potuto convalidarla, ha escluso che la Alpi sia stata uccisa da un colpo di pistola sparato da vicino ed esclude quindi si sia trattato di un’esecuzione decisa in precedenza)…” Si tratta di affermazioni gravissime dopo 25 anni e dopo il 2017!
A quale perizia si riferisce la Procura di Roma? Sappiamo che ne sono state fatte diverse di perizie motivate dalla mancata autopsia e dalla sparizione della documentazione medica e fotografica eseguita sulla nave Garibaldi. (Due volte sarà riesumata la salma, due autopsie: nel maggio 1996 dal dottor Giuseppe Pititto, conclusioni perizia 1998; nel 2004 dalla commissione parlamentare d’inchiesta).
Tutto questo è servito a chi, utilizzando i vari esiti delle perizie medico/balistiche, continuerà ad accreditare la tesi dell’incidentalità.
Invece fu un’esecuzione
Il certificato a firma dottor Rossitto sarà confermato, senza conoscerlo, dal dottor Giulio Sacchetti che eseguirà l’esame esterno al Cimitero Flaminio il 22 marzo 1994. Leggo un frammento “…trattasi di ferita penetrante al capo da colpo d’arma da fuoco a proiettile unico esploso a contatto con il capo… mezzo adoperato pistola, arma corta…”
Sarà confermato dal dottor Andrea De Gasperis che così motivava davanti alla Commissione d’inchiesta la mancata autopsia: ”…È stato fatto un esame molto attento…era chiaro: un colpo sparato a distanza ravvicinata; non era necessario fare l’autopsia”.
L’esito dell’autopsia disposta dal dottor Pititto (gennaio 1998) lo confermerà con ulteriori dettagli: “…il colpo mortale è stato sparato (alla nuca zona parietale sinistra, dall’alto verso il basso) a distanza ravvicinata e l’aggressore, in piedi sulla strada, sparò aprendo la portiera posteriore sinistra o dal finestrino”. Tre conclusioni riferite al corpo di Ilaria.
Miran Hrovatin, va ricordato, fu colpito da un analogo colpo alla nuca a destra come si legge nelle conclusioni della parziale autopsia svolta dal dottor Fulvio Costantinides negli stessi giorni a Trieste.
Due riscontri esterni e un’autopsia (periti medici e balistici) sono concordi. Due colpi in testa, uno per Ilaria zona parietale sinistra, uno per Miran stessa zona a destra.
La storia del proiettile vagante che colpisce Miran poi si infrange su una parte della macchina prima che un suo frammento colpisca Ilaria è finita (era stata Ipotizzata da un rapporto dell’intelligence Unosom a firma Fulvio Vezzalini pochi giorni dopo il duplice assassinio, ripresa qua e là in tutti questi anni…anche dalla relazione di maggioranza della commissione parlamentare d’inchiesta sulla morte di Ilaria e Miran nel 2004). Nessuno più potrà sostenere questa ipotesi, chi lo facesse è un bugiardo.
La sentenza della Procura di Roma del 24 novembre 2000 (quella che condanna Hashi all’ergastolo) demolisce infatti tutte le ipotesi che erano state avanzate o costruite per sostenere la casualità del duplice assassinio.
Si legge:
1) si è trattato di un duplice omicidio volontario premeditato, accuratamente organizzato con largo impiego di uomini… ed eseguito con freddezza, ferocia, professionalità omicida;
2) i motivi a delinquere dei mandanti ed esecutori sono stati, come dimostrato, di natura ignobile e criminale, essendo stato il duplice omicidio perpetrato al fine di occultare attività illecite…”
Perché e chi ha voluto fin dall’inizio nascondere che si è trattato di una esecuzione?
Chi ha tenuto nascosto il certificato di morte?
Chi ha rubato i block notes e alcune cassette videoregistrate?
Chi ha violato i sigilli dei bagagli?
Forse Ilaria era ancora viva se al Porto Vecchio si è tentata la rianimazione come dichiarazioni e fotografie testimoniano.
Una pattuglia di militari italiani in forza all’intelligence dell’UNOSOM (al comando di Fulvio Vezzalini) era nella ex ambasciata italiana nelle immediate vicinanze del luogo dell’agguato dove nessuno si reca: si può ancora escludere l’omissione di soccorso? Giorgio, che era un medico di talento, sosteneva che dalle immagini si vedeva che era ancora viva Ilaria; che non si sarebbe salvata ma che chi aveva il dovere di prestare soccorso non lo poteva sapere!
Perché per Ilaria non sono state rispettate quelle regole d’ingaggio della missione Unosom che prevedevano” …misure di sicurezza per i giornalisti e i fotoreporter garantendo informazioni aggiornate e un adeguato supporto logistico…”? Ne potremmo aggiungere molti altri di punti interrogativi.
Il gip dottor Andrea Fanelli 15 giorni dopo la morte di Luciana respingeva la richiesta di archiviazione condividendone però in gran parte le ragioni. E non sottoponeva nessuno di questi e altri interrogativi alla Procura di Roma. La cosa più importante richiesta dal gip era riferita a una fonte del SISDE di cui è ancora segreta l’identità ma non il contenuto confermato da testimonianze, documenti informative di Intelligence e della Digos.
Cosa mai deve succedere ancora dopo Perugia.
Alla fine leggendo richieste di archiviazione e motivazioni per respingerle si potrebbe concludere che l’unico vero depistatore è stato proprio Jelle il teste d’accusa di Hashi Omar Hassan: il colmo davvero.
Invece dovremmo ancora sapere:
perché Jelle non testimonierà in nessun processo e le uniche sue due testimonianze (alla Digos e al magistrato) non sono state registrate (né video né audio) o sono sparite
perché… Jelle sparisce (!) mentre è sotto protezione della polizia e pochi giorni prima dell’arrivo di Hashi Omar Hassan in Italia: quindi nemmeno lo riconoscerà!
perché Jelle non verrà mai cercato nemmeno quando ritratterà le sue accuse dopo la condanna definitiva di Hashi.
Sarà una brava giornalista Chiara Cazzaniga per “Chi l’ha visto” a trovarlo, intervistarlo e a “obbligare” così una rogatoria! E poi l’avvio della revisione del processo.
Abbiamo guardato sempre con trepidazione e speranza: che si continuasse a indagare sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Continueremo a farlo.
Oggi il sentimento che ci pervade è quello che Luciana ci ha consegnato anche negli ultimissimi giorni: l’indignazione. Indignazione come sentimento positivo che allude al rifiuto attivo delle ingiustizie.
Sentiamo che è offesa ancora una volta la dignità di Ilaria e Miran, delle loro famiglie, delle tante persone che si sono impegnate in questi 25 anni, dell’intero paese.
Sentiamo che la giustizia è un diritto. Sentiamo però che la giustizia è stata offesa ancora.
Quella giustizia che “… è amministrata in nome del popolo” come recita l’art.101 della Costituzione della Repubblica Italiana.
Per arrivare a giustizia seguire la pista dei depistaggi ci pare l’indicazione necessaria.
Ci sorge un interrogativo che sentiamo il dovere di formulare ma a cui non possiamo né vogliamo rispondere noi.
Forse è necessario che non sia più la Procura di Roma a occuparsi di questa tragedia, dopo venticinque anni?
Alla domanda
Perché #NoiNonArchiviamo?
Vogliamo rispondere così:
(nell’ottava scena della “Vita di Galileo: Bertolt Brecht colloca il suggestivo colloquio tra lo scienziato e il giovane discepolo ecclesiastico)
…FULGENZIO: “… Ma non credete che la verità – se verità è – si farà strada
anche senza di noi? …”
GALILEO: ”… No, no, no! La verità riesce ad imporsi solo nella misura in cui
noi la imponiamo… (la vittoria della ragione non può che essere la vittoria di quelli che ragionano) …”
Mariangela Gritta Grainer
Camera dei Deputati 20 marzo 2019