La Stampa: il Sismi a Roma sbianchettava i rapporti del suo 007 da Mogadiscio

Dagli atti resi pubblici emergono i depistaggi dei Servizi Segreti sull’omicidio della giornalista avvenuto il 20 marzo del 1994 in Somalia

Mogadiscio, Somalia, 23 marzo 1994. Vent’anni fa. Tre giorni prima erano stati uccisi a sangue freddo la giornalista Ilaria Alpi e l’operatore Miran Hrovatin. Un’esecuzione in piena regola. Quel 23 marzo, da Mogadiscio, un agente del Sismi scriveva, tra le altre cose: «Appare evidente la volontà di Unosom (il comando Onu retto dall’ammiraglio statunitense Jonathan Howe, ndr) di minimizzare sulle reali cause che avrebbero portato all’uccisione della giornalista italiana e del suo operatore».

Il documento, scritto a mano, pieno di cancellature, emerge dal mazzo di nuove desecretazioni appena disposte dal governo e reperibili sul sito della Camera e si porta dietro una scia di interrogativi irrisolti. Il principale: perché il Sismi, a Roma, si affrettò a sbianchettare i rapporti del suo agente in Somalia? «È quanto ci domandiamo anche noi da tempo», commenta l’avvocato Domenico D’Amati, legale della famiglia Alpi. Ed è dolente la voce della mamma di Ilaria, la signora Luciana, che in questi giorni sta esaminando anche lei, chiusa in casa, i documenti appena resi pubblici: «Dopo vent’anni, ormai sono pessimista e mi pare di avere buone ragioni per esserlo. È troppo tempo che grido che ci sono stati depistaggi, né vedo grandi novità da queste desecretazioni. È una vergogna che per buona metà siano pagine bianche. I segreti restano segreti».Governo_sì_desecretazione_atti_Alpi_Hrovatin

Ma torniamo a Mogadiscio. Nei giorni in cui fu uccisa la Alpi, il contingente italiano era quasi andato via dalla città. Con gli ultimi soldati, si imbarcò anche la cellula degli agenti segreti che li aveva assistiti nella missione. Restava indietro, con base all’ambasciata, un ultimo 007. Nome in codice, «signor Alfredo». Ebbene, il signor Alfredo tutte le sere, via fax, inoltra il suo rapporto a Roma. Qui, allo stato maggiore del Sismi, lo mettono in bella e lo battono a macchina. E puntualmente scompaiono i riferimenti all’omicidio. Anche le seguenti parole furono sbianchettate. «Unosom sta orientando le indagini sulla tesi (inizialmente il signor Alfredo aveva scritto: “Sta continuando a battere la pista”) della tentata rapina e della casualità dell’episodio».

Una cosa sola, a Mogadiscio, fu invece chiarissima da subito: era stata una brutale esecuzione e bene organizzata. Il signor Alfredo annotava che, al contrario, il comando dei Caschi Blu faceva finta di non capire. Per concludere: «Non trascurando, tuttavia, particolari che (in una prima versione era: “Trascurando chiari particolari che”) indicherebbero il contrario».

Cosa accadeva lungo le linee gerarchiche della Difesa? «Anche da Roma è giunto a Scalas (l’ufficiale dell’Esercito che aveva il compito di tenere i rapporti con i giornalisti, ndr) esplicito divieto di trattare l’argomento e di avanzare ipotesi sui probabili mandanti, ricordando che tale compito spetta soltanto a Unosom al termine degli accertamenti del caso».

Tutte queste parole giunte a Roma da Mogadiscio non sono mai finite nei rapporti del Sismi. Perché? Il pm che indagava sull’omicidio, Franco Ionta, ha provato invano a capire quale linea di comando decise di sbianchettare i rapporti del signor Alfredo. C’è agli atti un’inutile lunga corrispondenza tra la procura e il Sismi. Il classico muro di gomma. Insiste ora l’avvocato D’Amati: «L’agente operativo che era rimasto a Mogadiscio fece coscienziosamente il suo dovere. Ma i suoi rapporti finirono nel cassetto. Da me interrogato al processo, uno dei capi del Sismi sostenne che il servizio segreto non si occupa di un omicidio. Figurarsi, se non si occupano del delitto di una giornalista della Rai a cui si vuole chiudere la bocca, di che cosa si devono occupare?». Gli fa eco la presidente della associazione Ilaria Alpi, l’ex onorevole Mariangela Gritta Grainer: «Sappiamo di altre sbianchettature. Il giorno dopo l’omicidio, il “signor Alfredo” scriveva: da fonte attendibile risulta che a Bosaso la giornalista è stata minacciata di morte. Frase puntualmente omessa».

Francesco Grignetti (lastampa.it)