Valerio Cataldi, Miglior servizio per TG al XX Premio Alpi, racconta Lampedusa

Valerio Cataldi era a Lampedusa nel dicembre 2013, quando le immagini di quei migranti in fila, nudi, sottoposti al trattamento antiscabbia, hanno fatto il giro di tutto il mondo. E non ha potuto resistere: ha raccontato ciò che avveniva nel Cie lampedusano, per denunciare ciò che in forse molti già sapevano e che mai prima era venuto a galla. Allora Cataldi, inviato del tg2, un abitué di Lampedusa, decide di raccontare quei volti, quei corpi e riesce ad entrare nel Cie. Lo fa lasciandosi aiutare da Adhal, accorso sull’isola per cercare suo fratello e che col suo telefonino ha rubato quelle immagini e le ha rese note a tutti. Cataldi aveva già curato interessanti documentari sul tema dell’immigrazione. Da segnalare, “La neve, la prima volta” per Tg2 Dossier. Si tratta di quattro storie per raccontare il naufragio del 3 ottobre scorso a Lampedusa. Il dossier gli ha valso l’assegnazione del Premio per la Libertà di informazione da parte di Articolo21 e il patrocinio dell’Alto Commissariato per i rifugiati. Il servizio “Docce Antiscabbia” ha ottenuto una menzione speciale al Premio Ilaria Alpi 2014, come migliore “servizio esclusiva Tg”.

Come nasce l’idea del servizio “Docce Antiscabbia”?

Ero a Lampedusa e ho visto cosa è successo. Ho visto dei corpi che venivano messi dentro a delle buste. Ho conosciuto Adhal, la prima persona ad arrivare sul posto a cercare suo fratello. Ho vissuto con lui 2 giorni continuativamente, poi ho incontrato altre persone. È da lì che è nata la necessità di fare curare questo dossier.

Era la sua prima volta a Lampedusa?

Frequentavo Lampedusa già da un po’ di tempo, ma era la prima volta che vedevo tutti quei corpi e quei morti. Il mare ci ha consentito di prendere coscienza dei morti del Mediterraneo e quindi ho pensato di dover fare qualcosa, perché rimanesse memoria di ciò e soprattutto, perché raccontassi chi sono queste persone. La gente normalmente ha paura dei migranti, perché viene loro detto che portano malattie, che rubano il lavoro, che vengono a fare violenza o ad ubriacarsi, ma nessuno ha consapevolezza di chi sono, del perché vengono e del perché siano andate via. Nessuno sa che, chi decide di lasciare tutto quello che ha, fa una violenza pazzesca su di sé, una scelta estrema e c’è una ragione fortissima dietro: l’assenza di un’altra possibilità, non esiste per loro altra scelta.

Come organizzano il proprio viaggio i migranti che partono?

Nessuno di loro parte al buio. C’è una rete che consente loro di sapere dove stanno andando. C’è chi ha familiari, che hanno già ottenuto asilo o hanno già un lavoro e che danno indicazioni molto precise. Molti di loro arrivano a Lampedusa come una sorta di mappa scritta, con il percorso da fare per arrivare a Stoccolma, a Oslo o altrove. E questo viene loro testimoniato da chi ha già fatto questa esperienza. Chi viene sa già che in Italia non ci sono le stesse possibilità che ci sono in Germania o in Svezia o in Olanda.

Quanto tempo dovremo aspettare prima di vedere in Italia un serio progetto di accoglienza?

Io direi che tra due anni, se volessimo farlo, l’Italia potrebbe essere uguale al nord Europa. Bisogna prendere coscienza di quanto sia necessario accoglierli e utile integrarli, per trasformare la loro presenza in una ricchezza per tutti. Se non riusciamo a fare questo ragionamento, non riusciremo a farlo né adesso, né tra due anni, né tra venti.

Maria Panariello
Lorenzo De Vizzi