Il caso Rostagno e l’oscuro intreccio massonico-mafioso

La cosiddetta Loggia Scontrino viene scoperta nel 1986. Una loggia del trapanese dove compaiono nomi eccellenti di imprenditori, professionisti e di esponenti della criminalità organizzata. Un vaso di pandora scoperchiato che Mauro Rostagno denuncerà pubblicamente e che irritò i poteri mafiosi, quella mafia che decreterà la sua morte. Era il 1988.

Da un punto di vista storico, tuttavia, si dovrebbe risalire allo sbarco dagli alleati in Italia per capire il fitto intreccio tra criminalità organizzata e massoneria. “La svolta avviene tra il 1977 e il 1979” spiega Piera Amendola, documentarista per la Camera dei Deputati (ha lavorato, ad esempio, per la Commissione parlamentare d’inchiesta sulla Loggia massonica P2) e consulente per diverse procure proprio su questo tema. “Una svolta che viene descritta dai collaboratori di giustizia storici nei primi anni Novanta: da un lato, però, alcuni di questi collaboratori sostengono che sia stata la massoneria a chiedere alle diverse mafie di entrare nelle logge, mentre altre testimonianze raccontano di una scelta strategica di infiltrazione ben precisa operata dalla organizzazioni mafiose, ‘ndrangheta in testa”. Il collaboratore Giacomo Lauro, per esempio, spiega che una loggia in terra calabrese, nata dopo il 1979, comprendeva esponenti di spicco della ‘ndrangheta come il boss Paolo De Stefano, dell’eversione nera come Paolo Romeo e uomini di collegamento come l’avvocato Giorgio De Stefano, il cui nome emerge anche nella recente Operazione Breakfast. Più conosciuta, però, è la loggia dei 300, “voluta da Stefano Bontade” spiega Amendola “per creare ‘un terzo polo massonico’ a fianco del Grande Oriente d’Italia (GOI) e della loggia d’Italia degli antichi liberi ed accettati muratori (ALAM)”. Di queste vicende, tuttavia, se ne parla poco. Troppo poco. Hanno provato a far luce su questi avvenimenti magistrati come Ingroia, De Magistris, Cordova, Mauro. Nella realtà, non si è mai riuscito a far pienamente luce su quel fitto intrecci tra mafia e massoneria. Ci ha provato Mauro Rostagno e per attendere una verità giudiziaria sono occorsi venticinque anni.

Sentenza Rostagno. Troppe piste, una sentenza.

Venticinque anni di depistaggi, di improbabili piste investigative e di una lotta, pressoché solitaria, della famiglia per raggiungere la verità: la sentenza che condanna all’ergastolo il mandante, il boss Vincenzo Virga e uno degli esecutori materiali, Vito Mazzara, è del maggio di quest’anno.

Mauro Rostagno aveva toccato i nervi scoperti di una mafia trapanese che si stava trasformando in una holding affaristica, denunciando il potere criminale della provincia, sugli schermi di una rete televisiva locale, Rtc. Era un “rompiscatole” per i boss locali, Francesco Messina Denaro e Francesco Messina (detto Mastro Ciccio): così ha raccontato il pentito Vincenzo Sinacori. Come riporta Rino Giacalone, proprio il capo della Mobile di Trapani, Giuseppe Linares, ricordò durante il processo che “nel rapporto della Mobile del 1988 venivano citati gli editoriali di Rostagno sui cavalieri del lavoro di Catania, interessati a lavori pubblici eseguiti a Trapani”. E c’era anche altro, come ad esempio le denunce ai Carabinieri, poi cadute nel nulla, relative al centro Scortino, un “circolo culturale” nel cuore di Trapani:  lì vi era insediata l’omonima loggia (anche detta Iside 2), in cui comparivano nomi altisonanti del trapanese, tra cui due boss di Mazara del Vallo, Mariano Agate e Natale L’Ala, di cui Rostagno raccontò un incontro con Licio Gelli.  La loggia venne scoperta nel 1986 e dietro un apparente attività legale, Attilio Bolzoni su Repubblica, evidenzierà come durante le perquisizioni furono trovate, accanto a registri perfettamente a norma, “tessere non registrate in un elenco ufficiale, appunti riservati, agende zeppe di nomi di boss latitanti per le stragi trapanesi. E poi una valanga di raccomandazioni, richieste di trasferimenti e favori, pratiche su grandi appalti, domande dei fratelli per avanzamenti e promozioni di tutti gli uffici statali di Trapani”.

Venticinque anni di silenzio

I verbali di Rostagno sulla loggia, così come le denunce giornalistiche a Rtc, evidentemente non bastarono per instradare gli inquirenti nella giusta direzione. E così si sono inseguite le piste più disparate: come quella che voleva legare l’assassinio di Rostagno alla comunità (da lui fondata) di Saman e che, anni dopo, portò perfino in carcere la compagna di Rostagno, Chicca Roveri; oppure quella legata agli scontri interni a Lotta Continua. In quest’ultimo caso, poi, in un documento del capitano dei Carabinieri Dell’Anna, poi risultato falso, si faceva riferimento ad una ricostruzione del giudice Antonio Lombardi (che smentì la vicenda), il quale avrebbe riportato a Dall’Anna della volontà di Rostagno di testimoniare contro Adriano Sofri sull’omicidio del commissario di polizia Calabresi. Da lì, la presunta volontà di eliminare un testimone scomodo. Si fece poi avanti l’ipotesi che l’omicidio Rostagno fosse legato all’uccisione di Ilaria Alpi, in quanto Rostagno stesso avrebbe filmato una partita di armi destinato in Somalia.

Dopo tanti depistaggi, l’ispettore Leonardo Ferlito e l’ispettore Capo della squadra mobile di Trapani, Giuseppe Linares, grazie alle indagini balistiche che sovrapponevano l’omicidio Rostagno con altri per i quali Vito Mazzara era all’ergastolo, nel 2011 permettono alla DDA di Palermo di riaprire un caso che in un colpevole silenzio mediatico si è trascinato per tre anni ancora, con presunte false testimonianze (per le quali la Corte ha predisposto diverse trasmissioni degli atti alla Procura) di giornalisti, uomini delle forze dell’ordine, la moglie dell’editore di Rtc e, ovviamente, massoni come Natale Giaquinto e Natale Torregrossa,  l’uomo della loggia Iside 2 con cui Rostagno era entrato in contatto.

Molte piste, si è detto: e quella mafiosa è stata ritenuta la più veritiera da parte dei giudici.

Si parlerà di infiltrazioni mafiose e massoneria deviata all’interno delle iniziative di Stop Blanqueo per il Premio Ilaria Alpi, il 5 settembre alle 14:30 al Palazzo del Turismo di Riccione.

Davide Vittori