Ecco quello che si sa. La risposta dell’Associazione Ilaria Alpi al blog di Alberizzi

I racconti che di Ilaria e della sua Somalia sono stati fatti, con diversi linguaggi – la musica, il cinema, la poesia, il teatro ma soprattutto con le inchieste giornalistiche,  i suoi lavori che non sempre sono stati “valorizzati” adeguatamente, ci hanno avvicinato a lei, ci hanno detto che è stata uccisa perché era brava. E’ stato il suo modo di fare giornalismo di cercare sempre la verità e di comunicarla che ha fatto paura e che fa ancora paura.

Per questo la verità sulla sua uccisione ancora non si conosce per intero.

Ma molte cose si sanno: le abbiamo riassunte in questi giorni nel 18° anniversario del duplice delitto con molti “si sa”. Forse Massimo Alberizzi e Marina Rini non si sono aggiornati in tutti questi anni sulle conoscenze “certe” acquisite e documentate. Non tutti i colleghi di Ilaria erano suoi amici, non tutti i colleghi di Ilaria si sono impegnati o lo hanno fatto con continuità nella ricerca della verità. Molti giornalisti però e persone di buona volontà hanno accompagnato Luciana e Giorgio Alpi in questi lunghissimi anni dolenti impedendo che il caso fosse archiviato e tenendo sempre aperta la ricerca della verità per la giustizia. L’associazione che porta il nome di Ilaria e di cui sono portavoce è stata in prima fila. Possiamo dire motivatamente che la ricerca della verità è stata resa difficile da depistaggi, occultamenti, carte false, testimoni e/o persone informate dei fatti che hanno mentito o si sono nascosti dietro i “non ricordo”  (l’elenco dei fatti e delle persone sarebbe lungo): il tutto spesso confezionato direttamente e/o con la complicità di parti e strutture dello Stato.

 

Si sa che si è trattato di un’ esecuzione. Un’esecuzione su commissione: questo è quanto è emerso da tutte le inchieste giornalistiche, della magistratura e delle commissioni d’inchiesta che ne hanno evidenziato anche il movente. “Impedire che le notizie raccolte dalla Alpi e dal Hrovatin in ordine ai traffici di armi e di rifiuti tossici…venissero portati a conoscenza dell’opinione pubblica…”

Si sa che si tratta di traffici illeciti che solamente organizzazioni criminali, la mafia, l’ndrangheta e la camorra possono gestire, come indagini di procure, dichiarazioni di pentiti e collaboratori di giustizia hanno fatto emergere.

Si sa che recenti inchieste della magistratura riferite al nord Italia dimostrano che tali organizzazioni criminali  possono crescere ed estendere le loro ramificazioni in tutti i territori e in tutti i mercati  perché godono di coperture, silenzi e complicità nelle strutture di potere pubbliche e private.

Si sa che è in corso il processo per il reato di calunnia nei confronti di Ali Rage Hamed detto Jelle, testimone d’accusa chiave nei confronti di Hashi Omar Hassan in carcere da oltre dieci anni dopo la condanna definitiva a 26 anni.

Si sa che c’è una conversazione telefonica registrata in cui Jelle dichiara di essere stato indotto e pagato da un’autorità italiana perchè accusasse Hashi ma di voler ritrattare e raccontare la verità. Hashi, dunque, un “capro espiatorio” come era scritto nella sentenza di assoluzione (primo grado del processo).

Si sa che in tutti questi anni sono emerse notizie, dettagli che potrebbero collegare l’attività di inchiesta di Ilaria ad altri fatti tragici come ad esempio  il delitto Rostagno, la tragedia del traghetto Moby Prince (1991),  l’omicidio dell’ufficiale del Sismi Vincenzo Li Causi avvenuto proprio a Mogadiscio pochi mesi prima dell’assassinio di Ilaria e Miran: tutti eventi precedenti a quel tragico 20 marzo 1994.

Si sa che il 13 dicembre 1995, in circostanze misteriose (secondo gli stessi magistrati impegnati nelle indagini) muore il capitano Natale De Grazia, figura chiave del pool investigativo coordinato dal procuratore di Reggio Calabria Francesco Neri che indaga sulle “navi dei veleni” e che ha tra le altre cose dichiarato:

“Nella perquisizione a casa di Giorgio Comerio, (noto trafficante di armi, e coinvolto secondo gli investigatori nel piano per smaltire illecitamente rifiuti tossico nocivi n.d.r) la cosa che ci incuriosì più di ogni altra fu il ritrovamento del certificato di morte di Ilaria Alpi proprio nella carpetta della Somalia……

insieme a corrispondenze sulle autorizzazioni richieste al governo somalo e con Ali Mahdi, ad altre informazioni su siti e modalità di smaltimento illegale di rifiuti radioattivi”. Che ci faceva il certificato di morte di Ilaria tra le carte di Comerio?

 

 

Andrea Palladino, giornalista free lance e Luciano Scalettari  giornalista di Famiglia Cristiana,  sono gli autori dell’articolo pubblicato su Il Fatto.it accusato di “fantasiose illazioni che renderebbero più difficile la ricerca della verità”.

Le informazioni raccolte e pubblicate su Il Fatto.it sono relative agli ultimi giorni di Ilaria a Bosaso:  andranno verificate  con molta cura perché potrebbero essere di grande importanza.

Gli argomenti usati da Alberizzi e Rini sono sbagliati/falsi (il tono e lo stile “incommentabili”). Aggiungo qualche “si sa”:

 

Si sa che il 14 marzo Ilaria e Miran erano davvero a Bosaso (arrivati nel tardo pomeriggio dopo essere stati a Johar in visita all’Ospedale Italia ed essere ritornati a Mogadiscio prima degli altri colleghi proprio per partire per Bosaso)

 

Si sa tutto sugli spostamenti di Ilaria a Bosaso: è tutto verificato da documenti, testimonianze e anche dal riscontro del “girato” di Miran (quello che è giunto fino a noi) e ‘dai time code’ ritrovati.

 

Si sa anche che il 16 marzo fu proprio il giorno che Ilaria e Miran “persero” l’aereo per Mogadiscio (il 15 marzo dopo aver intervistato il responsabile del porto di Bosaso e il sultano Mussa Bogor  erano andati a Gardo, fatto riprese sulla famosa strada della cooperazione  Garoe Bosaso e da lì ripartiti all’alba del 16 marzo per Bosaso).

 

Si sa che su quell’aereo, di ritorno da Gibuti, c’era Valentino Casamenti (anche da lui confermato) di Africa 70; che potesse esserci Jupiter (Giuseppe Cammisa, personaggio legato a Gladio e non solo) è notizia assolutamente da verificare e non da irridere, a me pare, perché era proprio l’aereo che dovevano prendere Ilaria e Miran e anche perché

 

Si sa che Ilaria Alpi “era stata minacciata di morte a Bosaso nei giorni precedenti il suo assassinio e probabilmente sequestrata se pur per breve tempo da esponenti di clan locali.”

 

Si sa che è falso sostenere che “Nessuno sapeva che si sarebbe recata li (a Bosaso n.d.r.). I dispacci pubblicati dal “Fatto” si riferiscono ad altro, perché certamente i due colleghi della RAI a Bosaso il 14 marzo non c’erano.” (come scrivono Alberizzi e Rini).

Si sa invece con certezza che erano lì e che tutti sapevano che erano lì (compresa Marina Rini che in quei giorni stava in Somalia e che nella cronaca della giornata del 20 marzo inviata da Massimo Alberizzi a Massimo Loche (rai 3) il 28 marzo 1994 ha scritto “…due di essi hanno sparato a bruciapelo attraverso il parabrezza. Non hanno rubato niente, è stata una esecuzione in piena regola).

E le “presenze anomale” di cui parla la nota dei servizi segreti (riportata sul Fatto) potrebbe proprio riferirsi a Ilaria e Miran: in ogni caso è un obbligo verificarlo.

Da ultimo anche se tante altre cose si potrebbero dire, vorrei esprimere stupore e chiedere come mai proprio ora i due giornalisti, (il primo inviato storico del Corriere della Sera e la seconda Ufficio Stampa della Cooperazione e Sviluppo per il Ministero degli Esteri) si fanno vivi.

L’articolo chiude con un imbarazzante appello per due giornalisti che non possiamo certo definire precari: “ Se riuscissimo a trovare un finanziamento ad hoc per fare finalmente un’indagine seria saremmo pronti tutti ad occuparcene. Assieme naturalmente agli autori del “curioso” articolo pubblicato dal “Fatto quotidiano” .

 

Si sa ormai quasi tutto su quel che accadde in quei giorni a Mogadiscio, sul perché del duplice delitto, perfino su chi poteva far parte del commando. Ma gli esecutori sono ancora impuniti e non si è ancora arrivati ai mandanti a chi ha armato il gruppo di fuoco.

 

Alla magistratura il compito di indagare, di cercare ancora con determinazione

Guardiamo al nuovo capo della Procura di Roma con fiducia e con vigile trepidazione.

 

Mariangela Gritta Grainer

Portavoce dell’Associazione Ilaria Alpi Comunità Aperta