Successo per Winter School del Premio Ilaria Alpi a Milano

La passione non basta se non è sostenuta da analisi e ricerca. Servono fiuto e tenacia ma occorre evitare il giornalismo autoreferenziale. E’stata un bagno di sano realismo la IV edizione della Winter School dedicata al giornalismo televisivo di inchiesta organizzata a Milano dal 13 al 16 febbraio dal Premio Ilaria Alpi in collaborazione con la Scuola di Giornalismo dell’Università Cattolica. Una cinquantina di partecipanti (20 della scuola e 30 free lance) hanno avuto l’opportunità di ascoltare da vicino l’esperienza di 6 giornalisti e registi di film-documentari d’ inchiesta. Sabrina Giannini, Francesca Barzini, Udo Gumpel, Claudio Canepari, Giorgio Fornoni ed Erik Gandini.

Per Sabrina Giannini, dal 2001 nella squadra di Milena Gabanelli in Report, “nell’inchiesta ciò che conta sono gli elementi che il giornalista ha a disposizione, non solo il testimone. La denuncia è mettere insieme le cose, mai farsi intimorire”. Esplicativa l’inchiesta “Concorso nel reato” che svela i trucchi di alcuni concorsi attorno ai baroni universitari ed un sistema di scambio di favori reciproci a partire dal caso dell’Università La sapienza di Roma.

Se Giannini raramente ricorre, in gergo giornalistico, alla vox populi, per Francesca Barzini, autrice di Presa Diretta con Riccardo Iacona e Domenico Iannacone, “l’informazione parte dal basso, parlando con la gente”. Dietro ogni puntata c’è una documentazione e una ricerca da studio fino a recarsi sul posto in Italia o all’estero. Secondo step: l’arrivo del giornalista che – afferma Barzini- “deve avere il pezzo già costruito in testa senza domande vaghe”.

Esaminati alla Winter School anche alcuni tra i principali lavori di Claudio Canepari, regista e produttore di film documentari e format televisivi. L’inchiesta shock Bianca Neve racconta a telecamere sempre accese il mondo della cocaina attraverso le testimonianze di 3 consumatori abituali, due adolescenti e un imprenditore. “Scacco al re” è invece una docu-fiction che ricostruisce gli ultimi giorni della caccia a Bernardo Provenzano. Canepari utilizza video originali delle forze dell’ordine, intercettazioni ambientali e telefoniche alternate alle interpretazioni di attori sempre basate su documenti originali. Passo successivo la stesura della sceneggiatura.

Metodo diverso invece per Erik Gandini regista e produttore cinematografico bergamasco trapiantato in Svezia che non scrive la sceneggiatura prima di girare un film perché privilegia nei suoi lavori “emotività ed imprevedibilità”. Così è stato in Videocracy, documentario sull’Italia berlusconiana, nelle inchieste condotte sulla base americana di Guantamano e durante il conflitto dei Balcani. In quest’ultimo caso con pochi mezzi e due “telecamerine” Gandini ha seguito per mesi in una Sarajevo distrutta dalla guerra la vita quotidiana di una coppia di fidanzati.

Si definisce commercialista di professione ma a 50 anni inizia la carriera giornalistica, senza tessera. I suoi lavori vengono notati nel 1999 da Report che gli dedica una puntata intera e non lo lascia più. Giorgio Fornoni tratta temi sociali ed economici sui fronti di guerra, i più caldi. Tante telefonate andate a vuoto prima di approdare a Report. “Per questo lavoro – afferma Fornoni- servono tanta passione, voglia di raccontare e una dose di incoscienza”.

Il giornalismo di inchiesta visto da un’altra angolatura. Quella di un reporter straniero, il tedesco Udo Gümpel. Corrispondente dall’Italia per la rete televisiva Ntv, Gümpel ha scoperto gli autori della stragi naziste a Marzabotto. Li ha scovati e intervistati nelle loro case dopo anni di silenzi costringendo la autorità a riaprire i fascicoli. Gümpel è risalito a loro attraverso gli archivi americani e tedeschi. In generale il giornalista tedesco non ricorre mai alla videocamera nascosta che definisce “ inutile e dà un’idea di tv da buco della serratura. Primo passo per una buona intervista: mai domande aggressive, in fase di montaggio evitare le frasi spezzatino, pochi tagli per dare un senso compiuto ad ogni frase”.

Simona Cesarini