“Chi siamo? La vera mano di Allah”. Viaggio nella città di Asiut roccaforte egiziana dei fratelli musulmani.

ASIUT. Asiut – 450 chilometri a sud del Cairo – è il centro più grande e importante dell’Alto EGITTO. La sua fama non è però legata, come per Luxor o Aswan, alle antichità faraoniche, ma al fatto che – insieme ad altre due città della stessa zona – è da sempre la roccaforte dei movimenti islamici del paese. Negli ultimi giorni, proprio in questi centri (Al-Minia) si sono avute nuove esplosioni di violenza, ad opera degli gihad.

Apparentemente, Asiut ha poco del covo sinistro e misterioso. La sua economia tira bene: terre agricole sulle sponde del Nilo, industrie chimiche e petrolifere. Prima delle riforma agraria avviata da Nasser, poche famiglie – cristiane e mussulmane – detenevano il potere. Un taxista, cristiano, mi mostra con orgoglio la croce che ha tatuata sul polso. Con rimpianto, mi dice: «Prima della rivoluzione, i cristiani qui erano i proprietari terrieri più ricchi». Ora, invece, non più. Chi cresce, sono i Fratelli musulmani (l’ala moderata del movimento islamico, ora presente anche in parlamento): possiedono banche, società e piccole aziende sparse un po’ ovunque in Asiut.

I primi scontri cominciarono nel 1980. Poi, un anno dopo, ecco l’assassinio al Cairo del presidente egiziano Anwar Sadat. Mentre i colpi dei killer uccidevano il “rais”, a Asiut scoppiò la rivolta: secondo i piani doveva essere la scintilla del sollevamento generale nel paese. Ma non andò così: prima l’esercito e, infine, Mubarak riuscirono a controllare la situazione.

La nascita delle organizzazioni islamiche estremiste risale agli anni Sessanta. E per un motivo preciso: il governo, in difficoltà, le usò contro le sinistre, all’interno delle università. Riuscendovi. Comunque, l’«appello all’Islam» risponde probabilmente alla volontà profonda di recuperare una specifica identità nei confronti dell’Occidente, esportatore – questa è l’accusa – di corruzione e di crisi.

Ad Asiut è l’università il punto degli incontri e di dibattiti ideologici. Il leader studentesco delle “associazioni islamiche” locali è Usama Rushdi, 30 anni, alle spalle più di tre anni di carcere. Dice: «Come musulmani vogliamo la restituzione del califfato e l’applicazione della legge islamica. L’obiettivo è la creazione di uno stato dell’Islam. Il che non significa affatto che attaccheremo i cristiani o che li costringeremo ad andarsene. Più semplicemente desideriamo che venga applicato il diritto della maggioranza a governare nel rispetto – ovviamente – dei diritti degli altri.» Così Usama Rushdi, il quale tiene a precisare che la sua organizzazione non deve essere confusa con altri movimenti. In effetti, l’universo dei gruppi islamici egiziani è piuttosto nebuloso, ed è frequente il caso di piccole formazioni che si distaccano dai filoni principali per portare a termine qualche azione. Come pare sia il caso degli Annag Minan-Nar (‘I sopravvissuti dall’inferno’), un gruppo accusato dei più recenti blitz terroristici che, per quanto si conosce, non dovrebbe essere composto da più di una decina di persone. Questi attentati hanno avuto come bersaglio uomini di governo, al di fuori di ogni motivazione religiosa.

Per quanto riguarda Asiut, c’è un altro dato su cui meditare: i cristiani sono il 20 per cento della popolazione locale contro il 6 per cento nel resto del paese. La convivenza quotidiana è tranquilla e le autorità se ne vantano. Non capiscono, quindi, perché l’Occidente si interessi tanto alla loro cittadina. Tutto normale? Forse. Ma allora come spiegare la circostanza che il governatore di Asiut provenga ormai tradizionalmente dall’esercito e che ogni giornalista debba essere munito di permesso o muoversi sotto la “protezione” della polizia della Sicurezza nazionale (una sorta di servizio segreto) e del centro stampa del posto? La spiegazione ufficialeciale è che ciò serve solo a facilitare il lavoro.

A guardare meglio, però, si scopre che sassaiole e incendi contro le proprietà dei cristiani non sono poi così sporadici. «Ultimamente sono state distrutte delle librerie», ci dice un testimone. «Gli estremisti di Allah pensano che l’Islam sia l’unica religione e che i cristiani debbano scomparire. Le autorità governative sono invece contrarie all’applicazione della legge islamica: la promettono ai Fratelli musulmani ma in realtà non intendono farne nulla.» La verità è che il governo egiziano vorrebbe trovare un equilibrio stabile tra le richieste di laicizzazione e quelle di islamizzazione totale delle istituzioni. «L’Egitto» secondo Usama Rushdi «ha attraversato negli ultimi anni una profonda crisi economica. Il debito con l’estero continua a crescere. Il turismo ha subito un colpo a causa di avvenimenti come il sequestro dell’Achille Lauro e, nel febbraio dell’anno scorso, la rivolta del reparti della Sicurezza Nazionale qui ad Asiut. Per questo insieme di motivi, l’Egitto è stato costretto a chiedere più aiuti agli amici. L’unica soluzione sarebbe quella di creare una economia islamica. Invece l’Egitto vuole ricoprire il ruolo di testa di ponte nell’area medio orientale per americani ed europei, e quindi deve garantire la tranquillità interna. In altri termini, deve allontanare l’ipotesi che possa succedere un altro Iran.» L’Iran sciita non sembra però l’ideale di queste organizzazioni islamico-egiziane, tutte sunnite.

L’ortodossia religiosa ufficiale in Egitto è rappresentata dall’Azhar, l’università-moschea del Cairo. Ad Asiut c’è una “succursale” per lo studio delle scienze religiose le cui strutture sono in continua espansione. L’Azhar appoggia la politica del partito nazional-democratico al potere. Durante il referendum del primi di ottobre per la rielezione alla presidenza della repubblica di Mubarak il leader dell’Azhar hainvitato i cristiani a votarlo. Il papa Shenuda, capo dei copti, ha fatto lo stesso. I fratelli musulmani, rappresentati nell’assemblea popolare, hanno posto solo alcune condizioni. Al contrario, le associazioni islamiche – dai pulpiti delle loro moschee – hanno invitato a disertare le urne. «Le elezioni», dice Usama Rushdi, «sono state uno sperpero di denaro; la gente non ha nessuna fiducia nel partito al governo o in quelli all’opposizione.» Ma come cambiare? «Con il gihad sulla strada di Dio, cioè la propaganda con ogni mezzo e la guerra santa come ultimo rimedio.»

ILARIA ALPI

(da “Paese Sera” del 27 ottobre 1987)