Terra: Rispunta il nome della Shifco. «Erano pirati» dicono i cable

Ilaria Alpi era sulle piste della flotta pagata dalla Cooperazione italiana, accusata dall’Onu di aver trasportato armi nel 1992. Il nome di Munye riappare nei file Usa.

«Perché questo caso è particolare», scriveva sul suo bloc notes Ilaria Alpi tra il 14 e il 20 marzo 1994. Era a Bosaso, nell’estremo nord della Somalia, insieme al suo operatore Miran Hrovatin. Annotava con precisione ogni cosa, spunti per interviste, domande, testi per gli stand up. E in quelle poche pagine rimaste dei suoi quaderni, poco dopo la domanda chiave che ancora oggi non trova una risposta, appariva una delle tante chiavi di volta dell’intrigo somalo. Si chiama Shifco, ed era la compagnia statale di pesca di un governo somalo ormai inesistente. Aveva un padrone, un ingegnere che l’Italia la conosceva bene, Omar Said Munye. “Mugne”, scriveva Ilaria sul bloc notes, “Munye” aveva corretto qualcuno, una sua fonte rimasta ignota.

 

«Sei navi, quattro sono state consegnate», proseguono i suoi appunti, scritti mentre a Bosaso la Farax Omaar, uno dei pescherecci della flotta Shifco, era fermo al largo, bloccato da pirati. L’ultimo segreto di Ilaria gira molto probabilmente qui, attorno a due nomi, la Shifco e l’ingegner Munye, e a quel peschereccio sequestrato. Ci fu una trattativa in quei giorni a Bosaso sulla sorte della Farax Omaar, e forse qualcuno pagò un riscatto; ma nessuno, fino ad oggi, ha mai spiegato cosa realmente avvenne in quei giorni di metà marzo del 1994, a una settimana dal voto che aprì la strada a Berlusconi, mentre il nostro contingente stava abbandonando la Somalia.

Solo voci, confidenze, fantasmi apparsi per qualche ora. E quel nome che tornava, Munye: lui sarebbe stato uno dei mandanti dell’esecuzione del 20 marzo 1994, secondo le fonti confidenziali della Digos di Udine, che vennero, però, messe da parte durante le indagini. Poi le conclusioni della commissione Taormina misero una pietra tombale sulla sua figura, spiegando – con una notevole dose di di faccia tosta – che il viaggio di Ilaria e di Miran a Bosaso fosse una semplice vacanza al mare. Oggi il caso particolare di Ilaria riappare tra le carte che nessuno dei governi italiani poco amanti della verità ha potuto bloccare. Quattro cables diplomatici, divulgati da Wikileaks, citano direttamente Omar Said Munye e la Shifco in un elenco – del 2009 – di presunti pirati somali, arrivato da fonti francesi. Un potere di controllo dei mari del golfo di Aden che, secondo il cablogramma partito dalla Segreteria di stato Usa, si trasformava in terrore per mantenere il monopolio della pesca.

Non è la prima volta che il nome della Shifco appare in rapporti Onu. Il gruppo di monitoraggio sulla Somalia – che si occupa del rispetto dell’embargo sull’importazione delle armi – aveva già divulgato nei primi anni 2000 un rapporto su una partita di armi polacche arrivate nel nord della Somalia nel 1992. Secondo gli esperti delle Nazioni Unite quel traffico fu organizzato da Monzer Al Kassar, trafficante siriano arrestato nel 2008 dalla Dea, utilizzando le navi Shifco per il trasbordo. Un rapporto curiosamente ignorato per anni, nonostante fosse sempre stato disponibile sul sito interenet delle Nazioni unite, fino alla sua pubblicazione nel libro di Luigi Grimaldi e Luciano Scalettari 1994. Ora il cable del 2009 aggiunge un altro pezzo per ricostruire il profilo dell’ingegner Munye.

Qual è stato il vero ruolo di Munye, che fin dai primi anni novanta manteneva rapporti strettissimi con lo Yemen, vera base del traffico d’armi verso il Corno d’Africa? E ancora, quali erano i suoi veri referenti nel nostro paese, visto che la Shifco è sempre stata, almeno dal 1991, strettamente legata a imprese italiane? Tra i documenti resi noti da Wikileaks c’è anche un lungo rapporto dell’ambasciata Usa di Roma sulla Somalia su presunte operazioni coperte dell’Italia nel Corno d’Africa. La fonte è la figlia del generale Aidid, Faduma, che insieme a un certo Franco Cannata fornì una lunga serie di informazioni riservate. Faduma è stata considerata per molto tempo un punto di riferimento nella comunità somala in esilio e, in almeno un paio d’occasioni, il suo nome è entrato nelle indagini sulla morte di Ilaria Alpi.

 

Gli eventi raccontati dalla figlia di Aidid sono difficilmente riscontrabili con la documentazione oggi disponibile. Racconta ad esempio Faduma che «mercenari stranieri stanno entrando in Somalia dall’Eritrea e che il Ministero degli Esteri e il Ministero dell’Interno interni sono coinvolti nelle falsificazioni dei passaporti per facilitare questo ingresso». E ancora che «le navi che trasportano le armi verso la Somalia partono dall’Italia» e che furono perfino pagati alcuni mercenari per uccidere il fratello Hussein. Fatti che non trovano al momento alcun riscontro. Come non trovano riscontro i gravi episodi che Faduma fa risalire più o meno direttamente a Silvio Berlusconi. Tutti i documenti sono ora consultabili sul sito di wikileaks.

(da TERRA, di Andrea Palladino)