Ilaria Alpi: la verità e gli interessi. Parla Luciana Alpi.

PUBBLICHIAMO L’INTERVISTA FIRMATA DA GIANNI LANNES A LUCIANA ALPI USCITA IL 24 AGOSTO SU L’INDRO.

 

“Non si può morire a 32 anni con un colpo alla nuca senza che nessuno si chieda perché. Ecco, penso che qualsiasi genitore si possa immedesimare in noi”, ripete Luciana, madre di Ilaria, “la verità deve venir fuori per forza, si deve sapere. La giustizia deve fare il suo corso. E questa indifferenza da parte delle istituzioni e della giustizia ci ha molto feriti”.

 

La signora Alpi centellina le parole: “Purtroppo devo dire che in noi la speranza è venuta meno, e pochissima è rimasta la fiducia in questa giustizia. Siamo molto grati al Gip, Emanuele Cersosimo, perché ha avuto il coraggio di non archiviare l’inchiesta, e addirittura, di indicare i 26 punti che ancora debbono essere approfonditi dopo tanti anni dalla morte di Ilaria”.

 

 

 

DOCUMENTO IMBARAZZANTE

 

L’ombra dei nostri servizi deviati: depistaggi, omissioni, sparizioni, inquinamenti di prove, promozioni e trasferimenti; anche omicidi, come quello di Natale De Grazia, l’ufficiale di marina assassinato il 12 dicembre 1995, mentre indagava -per conto del magistrato Francesco Neri- sull’affondamento anomalo di 180 navi dei veleni nei mari italiani. Il capitano De Grazia aveva sequestrato, tra l’altro a casa di Giorgio Comerio, metà maggio del ’95 i progetti dell’Odm per l’inabissamento marino di siluri e droni -imbottiti di scorie radioattive – nonché l’occultamento illecito di rifiuti pericolosi in Somalia. Al «faccendiere Comerio, noto trafficante di armi», come viene definito da numerose informative del Sismi, era stato sequestrato anche il certificato di morte di Ilaria Alpi, in seguito sparito dal faldone 18 negli atti conservati dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria. Un atto di fine vita che neanche i genitori della giornalista (trucidata assieme al cameramen indipendente Miran Hrovatin con un’esecuzione mafiosa) hanno mai avuto tra le mani. Prima che l’inchiesta sulle navi a perdere fosse archiviata dal gip Adriana Costabile su richiesta del procuratore della Repubblica Alberto Cisterna (attuale vice capo della Procura nazionale antimafia, inquisito recentemente per una presunta collusione con la’ndrangheta), il sostituto procuratore Neri aveva stralciato gli atti giudiziari inerenti il duplice omicidio nonché il traffico di armi e rifiuti – trasmettendoli per competenza alla procura della Repubblica di Roma. La medesima procedura- ovvero il trasferimento al giudice Rosario Priore- era stata adottata in simultanea dai magistrati Pace e Neri, per le risultanze inerenti la strage di Ustica connesse al traffico di materiali nucleari strategici.

 

 

 

SEGRETO DI STATO

 

Nel 2002 alcune interrogazioni parlamentari -tutt’oggi senza risposta- sfiorano un nodo cruciale, ovvero la testimonianza del generale dei carabinieri Mario Mori, ora sotto processo per la trattativa Stato-mafia, insieme al colonnello Mauro Obinu. L’allora direttore del Sisde, appunto Mori, durante l’interrogatorio in Corte d’Assise d’Appello per l’omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin,confermava l’esistenza di rapporti del servizio segreto civile nei quali si faceva riferimento all’organizzazione del duplice omicidio da parte di un gruppo di mandanti istituzionali. Al generale Mori il collegio della Corte d’assise chiedeva se intendesse rivelare la fonte delle notizie, ma l’alto ufficiale si rifiutava di rispondere, in forza, disse, dell’articolo 203 del codice di procedura penale, che consente al personale dipendente dei servizi di non rivelare i nomi dei propri informatori. Lo Stato italiano – nei vari Governi di centro destra e sinistra- non ha mai assunto iniziative affinché la ricerca della verità non fosse subordinata alle esigenze dei servizi segreti. Vale a dire ad una comoda foglia di fico dove occultare verità indicibili. Ecco gli atti. La senatrice Daria Bonfietti (interrogazione a risposta orale 3-00488, presentata il 5 giugno 2002), rivolgendosi al presidente del Consiglio dei Ministri osserva: «il generale Mario Mori, capo del Sisde nel corso dell’interrogatorio durante il processo per l’uccisione della giornalista Ilaria Alpi e dell’operatore Miran Hrovatin, si è avvalso di prerogative di legge per non rivelare la fonte di alcune informazioni di particolare rilevanza; che le notizie in questione potrebbero avere particolare importanza per delineare finalmente il quadro veritiero della responsabilità, dei complici e dei mandanti che hanno portato alla morte dei giovani cittadini italiani, si chiede di sapere se non si ritenga, considerando prevalente nel caso in questione l’interesse per la verità, di intervenire impartendo la disposizione ai responsabili dei servizi di offrire la più incondizionata, completa e totale collaborazione con la giustizia».

 

Anche i deputati Valter Bielli e Pietro Folena depositarono un’interrogazione (a risposta scritta numero 4-03128) il 5 giugno 2002: «il direttore del SISDE, generale Mario Mori, ascoltato nei giorni scorsi in qualità di teste, adducendo “motivi di sicurezza” ed appellandosi all’articolo 203 del codice di procedura penale, non ha rivelato il nome dell’informatore dei servizi segreti che, all’epoca, indicò i nomi di colore che, a suo giudizio, potevano essere considerati tra i probabili mandanti del duplice omicidio».

 

Altri due onorevoli (atto numero 3-01046 datato 10 giugno 2002) -Pietro Ruzzante e Giuseppe Giulietti- chiamano in causa il Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, per sapere, premesso che: «il procedimento giudiziario per la morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, assassinati a Mogadiscio il 20 marzo 1994, ha registrato con la deposizione del direttore del Sisde elementi nuovi, che potrebbero risultare determinanti ai fini dell’accertamento della verità, consistenti nel fatto che “fonti” ritenute attendibili dal servizio di sicurezza sono a conoscenza dell’identità dei mandanti del duplice assassinio; nella stessa deposizione ci si è avvalsi della facoltà di non rivelare l’identità della fonte per motivi di sicurezza; è venuta così a determinarsi una situazione per cui lo Stato attraverso il potere esecutivo conosce i presumibili assassini, ma rinuncia a perseguirli attraverso il potere giudiziario sottraendogliene la possibilità». Secondo i due parlamentari dell’Ulivo «siamo di fronte ad una lesione grave di diritti fondamentali rappresentati in primo luogo dalla necessità di rendere giustizia a chi ha perso la vita per garantire il diritto dei cittadini ad essere informati e realizzare così concretamente il diritto alla libertà d’informazione».

 

A distanza di nove anni non è giunta alcuna risposta dai Governi alle predette istanze parlamentari, e neanche alle successive, come l’interrogazione a risposta orale numero 3-01331, risalente al 3 settembre 2002 a firma di Ruzzante, Giulietti e Caldarola.

 

 

 

COMMISSIONE INSABBIATRICE

 

“La Commissione Taormina è risultata vergognosa. I risultati finali sono stati di una volgarità senza limiti, offensivi verso Ilaria e verso tutti i giornalisti che si sono sacrificati per il loro lavoro” denuncia Luciana Alpi. Istituita di fatto nel 2004 termina i lavori nel 2006, secretando per disposizione del Presidente Carlo Taormina tutti gli atti significativi acquisiti per i prossimi 20 anni, grazie anche al silenzio dell’opposizione politica. Un paradosso tutto italiano: un organismo parlamentare nato per fare luce che invece oscura tutto.

Qualche avvisaglia era già emersa nel 2005 in una intervista con Taormina -la registrazione audio del colloquio autorizzata dall’avvocato è inedita- nel suo studio di via Cesi, a Roma. Esattamente un anno prima della scadenza temporale dei lavori parlamentari, il Presidente Taormina aveva puntualizzato: “Ilaria Alpi e Miran Hrovatin erano in vacanza in Somalia. Sono stati uccisi nel corso di una rapina da fondamentalisti islamici”.

Insomma, una tesi preconfezionata, come il teorema dell’agguato occasionale, l’auto clonata per tentare di dimostrare una dinamica balistica a base di spari da fucile mitragliatore e la scandalosa consulenza di Giancarlo Marocchino. Le perizie mediche hanno dimostrato inequivocabilmente che Ilaria è stata colpita alla testa da un unico colpo sparato a bruciapelo da arma corta. L’analisi del dna sui sedili del pickup ha provato che non era il sangue di Ilaria.

 

 

 

INTERESSI INCROCIATI

 

La mamma di Ilaria non ha più dubbi: “Le resistenze sono enormi, perché si toccano interessi spaventosi. Il primo gesto che abbiamo fatto dopo la morte di Ilaria è stato andare alla Farnesina, al Ministero degli esteri, perché credevamo che fosse interesse nazionale sapere la verità. Abbiamo ricevuto tante promesse ma non si è fatto niente. Accertare la verità sulla morte di Ilaria vorrebbe dire riaprire il fascicolo delle infamie, delle illegalità commesse sulla cooperazione, sul traffico d’armi e di rifiuti tossici”.

 

Il silenzio è assordante quando si toccano affari di stati e multinazionali del ‘crimine legalizzato’.