Demetrio Volcic: il giornalista come mestiere “mitizzante”

“Se l’informazione è sbagliata, la democrazia sta in cattive acque”. Queste le parole con le quali Demetrio Volcic, ex giornalista Rai, ha riassunto il ruolo che l’informazione riveste nella società contemporanea. Protagonista della conferenza tenutasi stamattina per il Premio Ilaria Alpi, Volcic ha lavorato come corrispondente all’estero dal ’68 al ’93, operando in contesti culturali e politici diversi come Praga, Vienna, Bonn, e soprattutto Mosca. Un mondo, quello dell’Unione Sovietica, di cui Volcic aveva diretta esperienza, date le sue origini, e che quindi era in grado di capire e raccontare in maniera più completa rispetto ai propri colleghi. Una carriera lunga e ricca, che farebbe pensare a Demetrio come ad un punto di riferimento e una fonte di conoscenza primaria nel settore giornalistico – ruolo dal quale egli sembra tuttavia tirarsi indietro, nel momento in cui sottolinea il carattere assolutamente dialogico dell’incontro: “E’ stata pensata come una lectio magistralis, ma io non posso dare lezioni che non ho ricevuto”. Il lavoro svolto da Volcic nell’Urss riscosse un notevole successo, e in Italia ottenne un’approvazione trasversale dei partiti: “Per il mio modo distaccato di raccontare le notizie, andavo bene sia alla destra che alla sinistra”, ricorda il giornalista. L’ottima qualità dei servizi realizzati da Volcic all’estero gli valse la nomina e direttore del TG1, incarico che ricoprì dal ’93 al ’94. Il ritiro vero e proprio dall’attività di corrispondente risale al 1996, anno in cui Volcic decide di dedicarsi all’attività accademia e politica: membro del Parlamento Europeo dal ’99 al 2004, fu anche senatore della Repubblica tra il ’97 e il 2011. Nella conferenza l’attenzione del giornalista si concentra anzitutto sul ruolo che le nuove tecnologie hanno assunto negli ultimi decenni, in particolar modo sul potere della televisione nelle democrazie occidentali. Uno strumento di comunicazione che avrebbe “Formato la base, cioè i genitori: i figli nascono ormai come video-bambini”, afferma Volcic. E ricorda come già all’epoca della caduta del muro di Berlino, l’influenza del piccolo schermo sulla vita quotidiana delle persone fosse molto alta: “La gente si recò a vedere il muro solo dopo la fine della trasmissione di una partita di calcio”. La tv come forma di scansione dei ritmi sociali e definizione delle priorità, che oggi rischia di annientare del tutto la nostra capacità critica, essendo ormai una televisione “Scialba, che non trasmette la logica, il pensiero e la capacità di crearsi un’autocoscienza o identità”. Una tv che mostra tutto senza chiarire il senso di ciò che offre, artefice e promotrice di quello che Vulcic definisce “un linguaggio impoverito”. La visione critica proposta è netta, quasi definitiva, ma lascia tuttavia intravedere uno spiraglio di luce nel momento in cui “risparmia” alcuni programmi Rai di oggi, come “Parla con me” della Dandini o “Ballarò” di Floris. E sulla figura ed il lavoro di Michele Santoro, Vulcic non ha alcun dubbio: “ Santo subito”. Una riflessione di ampio respiro quella di Demetrio, che si sofferma inoltre sulla precarietà del lavoro del giornalista odierno. Questo rischia di essere sostituito dal freelance, in un mondo in cui la figura del professionista sembra non trovare spazio e si allontana sempre più dal corrispondente di una volta, quando il lavoro del reporter “era una cosa di molti nervi, di molta tensione, e di molta passione”. Trovarsi sempre sul luogo dell’avvenimento, prima dell’avvenimento, questo il dovere morale e professionale del giornalista. Un mestiere, come lo ha definito Volcic, “mitico, da mitizzare e mitizzante”, nella sua continua ricerca della verità. Una verità che nel contesto italiano attuale, in cui si assiste ad una commercializzazione/spettacolarizzazione della notizia data dalla privatizzazione berlusconiana delle reti, rischia di essere alterata o dimenticata. Ed è questa, oggi, la sfida ed il compito del giornalista: riuscire ad intervenire, oltre che a vedere, il mondo che si racconta.

Ilaria Tabet