La
testimonianza di Franco Oliva, collaboratore della Farnesina
Inviato
per due volte in Somalia, ha cercato di contrastare alcuni malaffari
legati alla Cooperazione. Ma un misterioso agguato l’ha ridotto in
fin di vita.
>"Progetti di
sviluppo" che divorano miliardi di denaro pubblico senza migliorare
la qualità della vita della popolazione locale; traffici di armi e di
rifiuti tossici: scandalosa Italia, scandalosa Somalia. Franco Oliva,
un uomo alto e asciutto di 53 anni, è un testimone. Ciò che sa, ciò
che ha visto e cercato di contrastare, e anche ciò che ha sospettato
in base a racconti di prima mano, l’ha scritto in dettagliate denunce
o l’ha detto di fronte all’autorità giudiziaria. Tra l’aprile
1986 e il maggio 1990 Oliva lavora in Somalia
per conto del nostro ministero degli Esteri come coordinatore amministrativo
dei progetti di cooperazione. A Mogadiscio Oliva arriva di nuovo il
10 ottobre 1993, in qualità di esperto della Farnesina. Il 29 ottobre
di quell’anno è gravemente ferito in circostanze ancora tutte da chiarire.
Si salva per miracolo. Da allora lo Stato che ha servito lo ignora.
In compenso c’è chi si premura di fargli sapere che per lui è meglio
tacere.«Tra l’86
e l’88», afferma Oliva, «sento un connazionale, Guido Garelli, dichiarare
pubblicamente a Mogadiscio di essersi recato fin laggiù per piazzare
navi cariche di scorie nucleari. Circa i traffici di armi, i sospetti,
già esistenti, si confermano quando, nell’ottobre 1989, proveniente
dall’Italia e dopo uno scalo a Tripoli, in Libia, arriva in Somalia
la nave 21 Oktoobar II, il fiore all’occhiello della neocostituita
flotta di pescherecci oggi della società italo-somala Shifco di Omar
Said Mugne, un progetto che tra imbarcazioni e varie attrezzature prevede
una spesa complessiva di circa 74 miliardi e mezzo, a carico della Cooperazione
italiana. Ebbene, la nave giunge battendo bandiera somala: ciò esclude
ogni possibilità di controllo, ma si accerta comunque che invece delle
12 celle frigorifere nuove previste, ne arrivano solo 6, usate. Del
carico non si sa nulla». Cosa c’è dentro?
Questo episodio
è uno dei tanti contenuti anche nell’esposto-denuncia sulla mala cooperazione
presentato il 25 novembre 1992 da Piero Ugolini, che ha lavorato in
Somalia negli stessi anni.
«Ritornato in Somalia», prosegue Oliva, «mi domando che senso abbia finanziare
con 4 miliardi un progetto di igiene urbana per Mogadiscio o prevedere
una spesa più o meno analoga per ripristinare l’acquedotto cittadino,
dal momento che la guerra civile impedisce qualsiasi intervento del
genere. Di più, scopro che la Cooperazione paga decine di migliaia di
dollari, prelevati dai fondi destinati ai progetti sanitari, per stipendiare
circa 150 guardiani armati delle due opposte fazioni di Mogadiscio chiamati
a vigilare – così mi dicono – sugli otto presidi medici in città. Constato
poi che le attrezzature sanitarie e i medicinali sono forniti da un
centro logistico di Mombasa, in Kenya, e provengono in genere dall’India
(sebbene, pare, tramite ditte italiane). Molti farmaci sono prossimi
a scadere e le attrezzature sono di pessima qualità nonostante i prezzi
elevati. Una parte è custodita non nei depositi della Delegazione italiana,
ma in quelli di Giancarlo Marocchino, un non meglio precisato imprenditore
italiano, che li conserva senza inventario, senza cautele e dietro compenso».
«Lo stesso
Giancarlo Marocchino», prosegue Franco Oliva, «usa autocarri, macchine
movimento-terra e gru di alcune imprese italiane, come la Salini, che
nel 1990 avevano dovuto abbandonare precipitosamente la Somalia alla
caduta del dittatore Siad Barre. Questi mezzi valgono complessivamente
decine di miliardi: la Sace ha già rimborsato, o sta per farlo, i legittimi
proprietari. Giancarlo Marocchino li utilizza come propri; non ha alcun
atto di affidamento; esige compensi per i servizi di trasporto resi
alle autorità italiane, comprese quelle militari».
«Io segnalo
le varie irregolarità al capo della Delegazione italiana Luigi De Chiara
e all’incaricato speciale Onu, l’ambasciatore Mario Scaloja», precisa
Oliva. «Fotografo, inventario e faccio spostare dai magazzini di Marocchino
i medicinali di proprietà della Cooperazione. Invito il responsabile
dei progetti sanitari a cercare una soluzione che consenta la graduale
riduzione del pagamento di guardie armate per i presidi sanitari. Infine,
respingo le pressanti richieste di pagamento (per un ammontare complessivo
di circa 60 mila dollari Usa) avanzate dalla moglie di Giancarlo Marocchino,
il quale a quell’epoca è a Nairobi, dopo essere stato espulso dalla
Somalia dal comando americano di Unosom II con l’accusa di trafficare
armi».
Arriva così
il 29 ottobre 1993. «Nella tarda mattinata esco dalla sede della Delegazione
italiana di Mogadiscio per definire un piano di distribuzione dei medicinali
ai centri sanitari. La Toyota Pick-up su cui viaggio viene intercettata
da un pulmino. Sparano dall’interno. E da altre direzioni».
Franco Oliva
ha l’arteria, la vena e il nervo femorali della gamba destra trapassati
da un proiettile. Deve la vita al fatto che un’infermiera italiana,
a bordo con lui, riesce a tamponare immediatamente la ferita e a trasportarlo
all’ospedale da campo rumeno.
Una partenza
in fretta e furia
«Luigi De
Chiara, capo della Delegazione italiana, viene a trovarmi il 3 novembre,
cinque giorni dopo l’agguato, e mi dice che sarò rimpatriato il 6 o
il 7 novembre su un Airbus appositamente attrezzato per il trasporto
di un ferito grave. Il 4 novembre, invece, due soldati italiani mi intimano
di prepararmi entro mezz’ora al massimo. I medici rumeni protestano,
sostenendo che il mio stato di salute sconsiglia la partenza, specialmente
prima dell’estrazione di un secondo proiettile che le radiografie avevano
evidenziato. Nonostante tutto, vengo fatto partire. Mi caricano su un
G222 non pressurizzato e non climatizzato. Sono nudo, ho solo un asciugamano
legato alla vita. Impiego otto ore per arrivare a Luxor, dove mi fanno
imbarcare su un Falcon diretto a Roma-Ciampino. Mi danno finalmente
una coperta. Vengo ricoverato al Policlinico Gemelli. Il 18 novembre
mi estraggono il proiettile».
Nel giugno
’94 Franco Oliva presenta un esposto-denuncia per cercare di sapere
chi lo voleva morto. «Ho collaborato con le inchieste riguardanti la
Cooperazione e gli strani traffici con la Somalia, condotte dalle Procure
di Milano, Latina, Torre Annunziata. So che altre Procure, come quella
di La Spezia, stanno indagando».
«Eravamo
un incentivo alla guerra civile»
Ilaria Alpi
e Miran Hrovatin vengono assassinati a Mogadiscio il 20 marzo 1994.
Un colpo a bruciapelo, sostiene la perizia medica depositata qualche
settimana fa. A partire dalle 112 pagine dell’esposto di Ugolini (si
badi bene: novembre 1992), la magistratura aveva modo di accertare la
veridicità di ipotesi inquietanti che lo stesso Ugolini sintetizzava
così in una lettera indirizzata all’allora ministro degli Esteri Beniamino
Andreatta, datata Firenze, 1° luglio 1993: «Per quattro anni avevo registrato
in Somalia l’azione di ladri pubblici e privati, e soprattutto "bestialità"
politico-economiche tali da configurare la nostra attività in quel Paese
come l’incentivo finale alla guerra civile e alla rovina».
Per quanto
riguarda il caso di Oliva (che è assistito dall’avvocato Tommaso Raccuglia),
il pm romano Settembrino Nebbioso ha chiesto per due volte l’archiviazione,
e non risulta abbia ascoltato i testimoni oculari come l’infermiera.
Il gip non s’è ancora pronunciato definitivamente. Così, almeno, fino
al 19 febbraio 1998.