Paul Moreira al Premio Ilaria Alpi con Toxic Somalia e workshop su giornalismo d’inchiesta

“C’è fame nel mondo di giornalismo d’inchiesta, e Ilaria Alpi è un grande punto di riferimento”. Paul Moreira, grande reporter e documentarista francese, è nato a Lisbona nel 1961 e ha cominciato la sua carriera giornalistica a Radio France International. Dopo aver lavorato a France 3, al mensile Actuel, a Liberation Magazine, all’agenzia Capa ed al programma Envoyé Special su France 2, 1997 passa a Canal Plus, nel 1997 dove più tardi, nel 1999, crea il format 90 minutes. Nel 2006 Moreira lascia CANAL+ per fondare, insieme a Luc Hermann Premières Lignes una agenzia di produzione indipendente, con lo scopo di rispettare l’esigenza di qualità e di rigore che hanno sempre caratterizzato i suoi servizi.

Moreira è a Riccione per presentare Toxic Somalia: reportage che riprende l’inchiesta di Ilaria Alpi sul traffico dei rifiuti tossici intervistando i pirati somali che accusano l’Occidente di sversare nelle loro acque rifiuti tossici; documenta l’aumento d’infezioni e malattie, triplicate in 20 anni, e ricostruisce i rapporti segreti tra mondo degli affari e quello della criminalità.

 

Moreira, conosceva Ilaria Alpi?

“Conosco la storia di Ilaria Alpi, delle sue inchieste e soprattutto di come è stata uccisa. È ed è stata una collega, una persona che ha rischiato tutto, appunto, per inseguire la verità. Non ha mai rinunciato ai suoi progetti. Forse è per questo che anche dopo la sua morte in tanti hanno portato avanti il suo lavoro, le sue inchieste. Sul giornalismo d’inchiesta non ci devono essere frontiere”.

 

Possiamo dire che il lavoro di Ilaria e di Miran Hrovatin rappresentano il punto di riferimento del giornalismo d’inchiesta oggi?

“Sì, certamente. Le sue attitudini, l’assidua ricerca della verità, è ciò che ispira anche il mio lavoro. Con Toxic Somalia sono voluto andare a fondo nella questione legata al traffico dei rifiuti, e ho apprezzato anche lo stile di lavoro di Ilaria. Non era solo una giornalista, una donna: Ilaria è andata in Somalia e lì non si è mai accontentata di ciò che aveva davanti agli occhi, ma aveva sempre la capacità di guardare a lato, di spostare lo sguardo pur mantenendo costante l’attenzione, cercava la verità nascosta. Ilaria aveva quella capacità giornalistica di scovare le notizie dove c’era qualcosa di poco chiaro. Non bisogna accontentarsi di quello che ti dicono: non ci si può accontentare della comunicazione ufficiale. Ilaria ha dato l’esempio, anche attraverso le sue immagini, di come si cerca la verità”.

 

È per questo motivo che ha fondato, insieme a Luc Hermann l’agenzia produzione indipendente Premières Lignes?

“In effetti potremmo definire contraddittorio il mondo del giornalismo francese: c’è un enorme appetito di giornalismo di inchiesta. I francesi chiedono questo tipo d’informazione perché ritengono che questo sia l’unico modo di conoscere la verità, che va appunto al di là di quelle che sono le dichiarazioni ufficiali. Il pubblico cerca e chiede servizi di questo tipo. Il problema è che la volontà delle emittenti, degli editori, non è questa: tutto è assoggettato ai poteri politici ed economici, talvolta anche a quelli mediatici. Occorre lottare per svolgere liberamente il nostro lavoro. Come ho fatto io con Premières Lignes“.

 

Che cosa pensa del giornalismo d’inchiesta in Italia?

Penso che il giornalismo italiano, soprattutto quello d’inchiesta, abbia alcune personalità interessanti non valorizzate a sufficienza. Credo vadano citati due grandi colleghi, Emanuele Piano e Alessandro Righi, entrambi di Roma e fondatori di una piccola agenzia d’inchiesta: Invisible Dog. Non hanno lavorato molto in Italia, ma ora sono a Al Jazeera”.

 

La Somalia è sempre stato un paese in guerra. Che senso ha produrre Toxic Somalia ancora oggi?

“Quello che mi interessa è andare al di là dei cliché e raccontare davvero quello che succede e il perché. In Somalia la storia è molto complessa: in tutti questi anni la pirateria è cresciuta, sta diventando ben radicata, per questo penso sia necessario andare a capire le responsabilità e la struttura della società somala e soprattutto del perché questi gruppi armati stiano crescendo. Non è corretto dire che i pirati hanno sempre fatto tutto da soli: dobbiamo andare al di là di questo stereotipo. Io, come Ilaria, ho voluto far conoscere il traffico dei rifiuti tossici e di quello che accade laggiù. Ilaria è morta per questo, perché cercava la verità. Io non so se la troverò, se qualcuno la troverà fino in fondo”.

 

Ilaria Alpi non c’è più. C’è un limite da non superare nel giornalismo d’inchiesta?

“Qualche volta i rischi sono eccessivi, ma talvolta ne vale la pena. Occorre valutare bene le situazioni perché l’importante è poter raccontare quello che si scopre, avere la possibilità di tornare per spiegare e denunciare. Questo è il mio consiglio per i giovani giornalisti di oggi”.

 

Selvaggia Bovani